bioplastica
Green economy

Febbre da bioplastica, il materiale del futuro

In principio c’era la plastica, il rivoluzionario materiale inventato dal premio Nobel Giulio Natta. Dopo un uso sfegatato di questo materiale, riassunto in modo eccellente dall’esposizione Plasticarium di Bruxelles, sono arrivati i primi problemi, legati allo smaltimento. Ecco affiorare i temi di marine litter e le foto del Green Ocean Pacific Garbage Patch. Ma una plastica più sostenibile esiste: è la bioplastica.

Cos’è la bioplastica

L’European Bioplastics ha definito bioplastica il materiale derivante da materie prime rinnovabili, che sia biodegradabile o riciclabile, o che riunisca le tre caratteristiche. Ne sono un esempio quelle ottenute dal grano, dalla tapioca, dalle patate o dall’amido di mais, come il Mater-Bi. Questo materiale è stato brevettato e commercializzato da Novamont: è molto diffuso nella produzione di imballaggi, giocattoli, posate, stoviglie e buste di plastica, ma soprattutto è il materiale protagonista della guerra dei sacchetti di plastica.

La faida degli shopper

bioplastica

Le tradizionali buste da supermercato erano fatte in polietilene. In molte nazioni questo tipo di sacchetti è ormai illegale. L’Italia è stato il primo Paese a vietare questi shopper, rischiando anche di essere multata per infrazione dalla Comunità Europea. Oggi questa normativa, la legge 28/2012, ha fatto scuola e ha spinto nazioni come la Francia a vietare la commercializzazione di stoviglie monouso in plastica tradizionale. Tuttavia secondo Legambiente, la metà degli shopper in circolazione non è biodegradabile. Da uno studio di Plastic Consult emerge che nei primi mesi del 2016 c’è stato un rallentamento della domanda di bioplastiche e un ritorno massiccio ai sacchetti di polietilene PE. In occasione del convegno organizzato da AssobioplasticheVerso la low carbon society: le opportunità offerte dall’industria delle bioplastiche”, il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha promesso maggiori controlli. Tra gli attori coinvolti nella salvaguardia della legge sui sacchetti in plastica, ci saranno anche i Comuni per far sì che la polizia municipale verifichi presso gli esercizi commerciali il rispetto della legge sugli shopper. Fino ad oggi i NOE dei Carabinieri hanno condotto 150 ispezioni in circa 30 società. L’operazione ha portato al sequestro di 89 tonnellate di sacchetti. Le sanzioni comminate ai trasgressori, comprensive di quelle fatte dalla Guardia di Finanza, ammontano a 1,8 milioni di euro. “Continueremo a lavorare a livello internazionale per affermare il principio del divieto dei sacchetti di plastica”, ha dichiarato Galletti “che sarà messo all’ordine del giorno nel prossimo G7 Ambiente, in programma a Bologna nel mese di giugno”.

I numeri della bioplastica in Italia

Secondo i dati presentati da Assobioplastica, il consumo di bioplastiche compostabili in Italia nel 2015 si è attestato a 54.500 tonnellate, oltre diecimila in più rispetto al 2014 (+25%). Quasi 40mila tonnellate (73% del totale), è stato impiegato per produrre sacchetti per la spesa monouso, il 17% per i sacchi per la raccolta della frazione organica e il restante 18% suddiviso tra manufatti per l’agricoltura, la ristorazione, il packaging alimentare e l’igiene della persona. Sul mercato operano 210 aziende, in aumento del 5% rispetto al 2014. Il settore occupa circa 2.000 persone (+5,5%).

La crescita col freno a mano della bioplastica

Durante l’European Bioplastics Conference, tenutasi a Berlino il 29 e 20 novembre, la produzione di bioplastiche a livello globale nel 2015 si è attestata sui 4,2 milioni di tonnellate, 964mila delle quali biodegradabili. Il 40% dei consumi riguardano l’imballaggio (1,6 milioni di tonnellate), il 22% riguarda beni di consumo (900mila tonnellate), mentre automotive e trasporto valgono circa il 14% del totale, pari a 600mila tonnellate. Al quarto posto si posiziona il settore delle costruzioni, con il 13% o mezzo milione di tonnellate consumate. European Bioplastic prevede che la domanda di bioplastica raggiungerà 6,1 milioni di tonnellate entro il 2021. Di queste, 1,2 milioni di tonnellate saranno di bioplastica biodegradabile. Tuttavia la domanda di bioplastiche è frenata dal costo del petrolio: se il prezzo è basso, produrre plastica tradizionale costa meno rispetto alla bioplastica. L’aumento del prezzo di prodotti in bioplastica, più efficienti e rispondenti alla domanda del consumatore attento ai principi dell’economia circolare e della sostenibilità, scoraggia gli acquisti.

Le innovazioni rese possibili dalla bioplastica

bioplastica

Daniele Radaelli è figlio di un imprenditore del settore della plastica. Ha passato la sua infanzia a giocare nell’azienda di papà. Diventato grande, ha usato il know how di famiglia e il materiale del futuro per creare Ekoala, marchio italiano specializzato nella realizzazione di prodotti per l’infanzia fatti interamente in bioplastica. L’obiettivo era realizzare prodotti per bambini sicuri, che non contenessero le sostanze chimiche che rendono la plastica tradizionale controversa e che, a fine vita, non danneggiassero l’ambiente. Dopo fallimenti e difficoltà affrontate per la lavorazione del nuovo materiale, arriva la partnership con Novamont, l’azienda del Mater-Bi. A luglio 2016, grazie a questo materiale privo di BPA e Ftalati (sostanze considerate tossiche se assunte in grande quantità, contenute nelle plastiche tradizionali), Ekoala ha debuttato sul mercato con i primi prodotti. Ma la bioplastica non affascina solo gli imprenditori in cerca di creatività. Colossi come Mars sono stati premiati con il Global Bioplastic Awards per il packaging biobased delle sue celebri barrette. Da notare che la pellicola Nativia Ness a base di amido di patate e PLA riciclato è estruso in Italia da Taghleef Industries di San Giorgio di Nogaro, in provincia di Udine il che, dall’invenzione della plastica, mette il nostro Paese ancora in prima linea.

Ma le bioplastiche sono davvero una soluzione?

Grazie alla loro sostenibilità ambientale a fine vita, le bioplastiche sono state indicate come una possibile soluzione al marine litter, fenomeno provocato dalla dispersione in mare dei rifiuti plastici. Ma c’è chi non è d’accordo. Jacqueline McGlade, capo dei ricercatori dell’UNEP (agenzia dell’Onu per l’ambiente) in un’intervista rilasciata al quotidiano britannico The Guardian, ha rilasciato una dichiarazione che sembra andare in tutt’altra direzione. “La plastica etichettata biodegradabile, come ad esempio le borse per la spesa, è in grado di dissolversi solo a 50°C, temperature inarrivabili in oceano”, ha specificato McGlade. “Inoltre, per loro natura affondano e quindi non restano esposte ai raggi e al calore del sole per potersi sciogliere”. Queste parole, pronunciate in occasione dell’Assemblea Onu dell’Ambiente a Nairobi, non sono nuove e non contrastano con la posizione di European Bioplastic, che aveva dichiarato che le bioplastiche non sono una soluzione al marine litter, dato che il fenomeno è provocato dalla dispersione dei rifiuti nell’ambiente. Il riciclo è ancora la soluzione più adatta a garantire un impiego sostenibile della plastica – bio e non –, argomento che chiama in causa anche i consumatori. Proprio la nostra consapevolezza e un appropriato corretto allo smaltimento sono i giusti comportamenti da mettere in campo.