diritti umani e cambiamento climatico
Cambiamento climatico

Diritti umani e cambiamento climatico: perché a pagare sono sempre i più poveri?

Due anni fa l’ex presidente irlandese Mary Robinson ha calcato il palco californiano delle TEDWomen, nate dalla costola delle note conferenze TED (Technology, Entertainment, Design), con uno speech sul tema dei diritti umani e cambiamento climatico. Spiegando come il surriscaldamento globale e le sue conseguenze non rappresentino una minaccia soltanto per l’ambiente ma anche per i diritti umani, specie nelle popolazioni povere ed emarginate.

Una donna che si batte da sempre per i diritti umani e cambiamento climatico

Oltre ad essere la prima donna Presidente della Repubblica d’Irlanda (dal 1990 al 1997), Mary Robinson, giurista prima che politico, ha ricoperto dal ’97 al 2002 la carica di Alto Commissario della Nazioni Unite per i diritti umani. Nel 2002 fonda l’organizzazione Realizing Rights, con la quale si avvicina alla questione degli effetti del cambiamento climatico nei paesi meno sviluppati. Un percorso perfezionato con la fondazione nel 2010 della Mary Robinson Foundation- Climate Justice, che porta avanti battaglie legali sul tema diritti umani e cambiamenti climatici.

I più poveri pagano le conseguenze più dure

Il cambiamento climatico è infatti una problematica che viene generalmente affrontata da un punto di vista scientifico e raramente la questione è stata osservata e trattata a partire da principi di equità e giustizia, che la Robinson definisce ‘giustizia climatica.’. Per comprendere questa visione è importante conoscere come il cambiamento climatico stia mettendo in ginocchio molte popolazioni dei cosiddetti paesi in via di sviluppo.

Arcipelaghi che scompaiono e comunità rurali private dei raccolti agricoli

E il discorso per TEDWomen si concentra su questi spaccati poco noti. Come ad esempio quello della Repubblica di Kiribati, una manciata di isole e atolli nell’Oceano Pacifico che affiorano di qualche metro sulla superficie del mare, il cui allora presidente Anote Tong si è trovato costretto ad acquistare terreni e polizze assicurative in previsione di una migrazione di massa della popolazione che abita l’arcipelago, seriamente minacciato dall’innalzamento del livello dei mari. Oppure quello di una comunità di donne dell’Uganda che, a causa dei frequenti periodi di siccità alternati a violente inondazioni che stanno di anno in anno distruggendo i raccolti, sono ormai costrette a rinunciare alla loro unica fonte di sostentamento.

A pagare le conseguenze dei cambiamenti climatici sono le popolazioni che non li hanno creati

In poche parole, a pagare gli effetti più disastrosi dei cambiamenti climatici sono spesso le popolazioni che non hanno in nessun modo contribuito alla loro creazione. Come gli abitanti del Malawi che, pur essendo uno dei popoli che consumano il minor quantitativo di energia al mondo, sono stati colpiti a gennaio 2015 da una delle alluvioni più violente mai registrate che, oltre a provocare tantissime vittime, ha messo in ginocchio l’economia locale.

Diritti umani e cambiamenti climatici: vale lo stesso anche negli Usa

E lo stesso discorso vale anche per i paesi sviluppati, dove a pagare maggiormente le conseguenze di un disastro ambientale sono sempre le fasce più vulnerabili della popolazione. Robinson ha ribadito il concetto nel corso di un’intervista pubblicata sul portale ted.com in occasione della recente devastazione provocata, in suolo statunitense, dai due uragani, Harvey e Irma, che si sono succeduti nell’arco di qualche settimana.

Come era già avvenuto con Katrina, Sandy e Ike, sottolinea la giurista, sono stati gli strati più poveri della popolazione ad aver sofferto maggiormente le conseguenze degli uragani. A partire dalla gestione dell’emergenza– non tutti hanno le risorse per poter evacuare e trovare riparo altrove- fino a quella della ricostruzione, possibile soltanto per chi ha mezzi a disposizione.

Se poi consideriamo la devastazione di Irma nei Caraibi, dove il tasso di povertà è decisamente più alto di quello degli Stati Uniti, iniziamo realmente a comprendere la grande ingiustizia dei cambiamenti climatici.

Il tema dell’ingiustizia climatica dovrebbe essere centrale nei dibattiti politici

Le persone che vivono in comunità che non hanno mai vissuto i vantaggi dell’industrializzazione e spesso non hanno neanche accesso all’elettricità, affrontano gli impatti più duri del cambiamento climatico e hanno scarse possibilità di recupero.

E’ questa l’ingiustizia climatica ed è su questo terreno, dove i diritti umani e cambiamento climatico si incontrano, che la Robinson si sta muovendo. Cercando sia di trovare alcune soluzioni che possano garantire alle popolazioni più vulnerabili di non subire in modo drammatico gli effetti di un disastro ambientale. E soprattutto battendosi per far sì che queste questioni diventino centrali nei dibattiti politici di tutto il mondo, specie in quelli dei paesi sviluppati.

Solidarietà climatica per incentivare le rinnovabili nei paesi in via di sviluppo

Perché, ricorda Robinson, tutte le grandi potenze economiche hanno raggiunto l’attuale benessere passando dai combustibili fossili. Questo non dovrà avvenire per i paesi in via di sviluppo, dove le possibilità offerte dalle tecnologie legate alle energie rinnovabili, andrebbero sfruttate in modo prioritario. Ma questo non può verificarsi senza un supporto concreto da parte dei paesi industrializzati. La questione dei diritti umani e cambiamento climatico non potrà essere risolta senza una solidarietà che Robinson definisce climatica.