Tecnologie aspira carbonio
Cambiamento climatico

Le tecnologie aspira carbonio devono essere attive e diffuse entro il 2030

Ma siamo davvero andati così avanti con l’inquinamento del nostro Pianeta dal poterci salvare solamente attraverso delle speciali tecnologie aspira carbonio? Insomma, il cambiamento climatico è già talmente avanzato da rendere il ricorso alla geoingegneria non più un’opzione futuribile, quanto una vera e propria necessità? Bill Hare, uno scienziato climatico di Climate Analytics, ne è certo: «se siete davvero preoccupati per le barriere coralline, per la biodiversità, per la produzione alimentare nelle regioni più povere, allora dovete anche sapere che dobbiamo iniziare ad utilizzare quanto prima delle tecnologie aspira carbonio».

Diffondere le tecnologie aspira carbonio entro il 2030

Già in altre occasioni, su queste pagine, abbiamo spiegato che il ricorso a dei dispositivi in grado di risucchiare l’anidride carbonica sarebbe necessario anche nel caso in cui noi smettessimo immediatamente di produrre gas serra. Ebbene, le tecnologie aspira carbonio saranno tanto più indispensabili nella misura in cui gli sforzi per tagliare in tempi brevi l’inquinamento di origine antropica non riusciranno a centrare i propri obiettivi. Come hanno spiegato gli scienziati della Chatham House, il think-tank britannico, se davvero vogliamo fermarci al di sotto dell’aumento di 1,5 gradi centigradi rispetto all’epoca preindustriale dobbiamo assolutamente dotarci di apposite e diffuse tecnologie aspira carbonio entro il 2030.

Oltre ai filtri della Climeworks

Tecnologie aspira carbonio

Non è certo un discorso su cui ci piace tornare troppo spesso. Alla Cop21 di Parigi si è dichiarato che, affinché gli effetti del cambiamento climatico siano minimi, è necessario restare al di sotto degli 1,5 gradi centigradi di differenza, e il fatto che le temperature medie si sono già alzate di 1 grado non è certo una cosa che vogliamo sentire mentre facciamo colazione la mattina, o mentre ci rilassiamo con gli amici. Eppure è così, il baratro climatico è più vicino di quanto siamo disposti ad accettare. E per questo, le tecnologie aspira carbonio non possono assolutamente restare una fantasia. Certo, abbiamo già visto la soluzione virtuosa prodotta dalla compagnia svizzera Climeworks, la quale ha costruito un complesso sistema di filtri in grado di estrapolare dall’aria l’anidride carbonica per accumularla e rivenderla in un secondo momento, destinandola per lo più a delle serre agricole. Per ora, però, l’esempio di Climeworks resta isolato e, per quanto stupefacente, ancora troppo ‘ridotto’ per poter davvero risolvere il problema: le tecnologie aspira carbonio, insomma, devono riuscire a fare di più.

Piantare nuove foreste e pompare l’anidride carbonica nel sottosuolo

Tecnologie aspira carbonio

Ed è così che parte della comunità scientifica ha iniziato ad ipotizzare delle tecnologie aspira carbonio più estese. Non ci si ferma dunque a dei semplici filtri, ma si mira a piantare nuove foreste in aree estese, creando così dei nuovi polmoni verdi. Fin qui niente di nuovo, se non fosse che c’è qualcuno che va più in là con l’immaginazione, ipotizzando l’utilizzo di questo legname a fini energetici, pompando le emissioni prodotte dalla sua combustione nel sottosuolo. D’altronde quella di spedire l’anidride carbonica in eccesso nelle falde sotterranee non è una novità assoluta, anzi, è già stata avanzata dagli Stati Uniti e da altri Paesi per appoggiare lo sviluppo del cosiddetto ‘carbone pulito’, ma come ha spiegato Corinne Le Quéré, direttrice del Tyndall Centre for Climate Change Research della University of East Anglia, «per quanto riguarda il pompaggio del carbone nel sottosuolo non sono stati mostrati progressi, anzi, in certi casi ci sono stati dei passi all’indietro». Eppure cresce di mese in mese il numero degli scienziati che vede nel BECCS – ovvero nello sfruttamento di fonti energetiche vegetali combinato con lo stoccaggio dell’anidride carbonica, Bio-Energy with Carbon Capture and Storage. La stessa Le Quéré ha infatti spiegato che il BECCS «è probabilmente essenziale per portarci a zero emissioni, anche se è davvero difficile pensare di riuscire ad utilizzare i nostri terreni così come ipotizzato dai modelli di studio».