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Agricoltura

I nonni salvano l’agricoltura dal surriscaldamento

Gli antichi saperi per salvare l’agricoltura

Il cambiamento climatico è un fenomeno disastroso e tutto moderno, ma non è detto che, per combatterne gli effetti più deleteri, i metodi contemporanei siano per forza i migliori. In agricoltura, soprattutto, l’aumento globalizzato delle temperature ha spinto molti contadini ed imprenditori ad investire parte delle proprie risorse in nuove tecnologie per contrastare la diminuzione dei raccolti, aumentando per esempio l’utilizzo di pesticidi e di fertilizzanti. Come ha però affermato Keith Alverson, un esperto del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, molto probabilmente «non esiste un proiettile d’argento in grado di risolvere qualsiasi cosa», al contrario: per superare l’imminente crisi agricola è necessario affidarsi, oltre che alle tecnologie più avanzate, anche alla saggezza popolare più antica. E se c’è un mondo che più di ogni altro può vantare una tradizione millenaria di conoscenze pratiche, quello è proprio il mondo del”agricoltura.

Vietnam: il riso galleggiante contro le inondazioni

Un esempio di recupero intelligente e tempestivo dal passato per combattere gli effetti devastanti del cambiamento climatico sull’agricoltura arriva dal Vietnam: qui, nella regione del Delta del Mekong, le inondazioni sono un evento ricorrente. Negli ultimi anni, però, la loro intensità è aumentata pericolosamente, distruggendo le coltivazioni di riso e di altre colture fondamentali. I vietnamiti, per contrastare le inondazioni, sono da tempo abituati a costruire delle dighe lungo le risaie, ma secondo Nguyen Van Kien, un ricercatore dell’Australian National University, la soluzione migliore sarebbe quella di recuperare un’antica varietà di riso, denominata ‘riso galleggiante‘. Tale coltura era abbastanza conosciuta fino al secolo scorso, quando venne sostituita da varietà più redditizie. Nguyen, però, vuole eliminare tutte le dighe intorno alle risaie e reintrodurre questa pianta, la quale si adatta perfettamente alle inondazioni: la pianta del riso galleggiante, infatti, è in grado di crescere fino a sei metri, per permettere alle proprie foglie di restare costantemente in superficie. Inoltre, sottolinea Nguyen, più l’acqua è libera di invadere le risaie, meno minaccerà i villaggi vicini. Per ora il suo team sta lavorando solamente in Vietnam, ma in progetto c’è l’introduzione del riso galleggiante anche in Cambogia e in Birmania.

Bolivia: rialzare i campi di due metri

Il secondo esempio ci porta in Sud America, precisamente in Bolivia. Oscar Saavedra, durante gli studi al college, ha scoperto che nel già nel 400 a.C. i contadini della area amazzonica avevano spesso a che fare con periodi di inondazioni seguiti da mostruose siccità. Per contrastare questi fenomeni devastanti, gli antichi decisero di rialzare i campi da coltivare di ben due metri in altezza, lasciando dei canali tra una coltura e l’altra. In questo modo, durante le inondazioni, l’acqua non avrebbe devastato i raccolti; con la siccità, invece, l’acqua raccolta nei canali avrebbe garantito una buona fonte per l’irrigazione dei campi. Saavendra ha iniziato a replicare questa strategia agricola antica fin dal 2007, e le sue coltivazioni di manioca e mais sono state le uniche a sopravvivere durante le alluvioni del 2008, le peggiori che la Bolivia abbia conosciuto negli ultimi 50 anni. Come si può immaginare, non sono stati moltissimi i contadini boliviani che hanno accettato di rialzare i propri campi – una operazione lunga e dispendiosa, che richiede circa una settimana di lavoro per ogni ettaro di terreno, e l’impiego di macchinari per il movimento terra. Sono però in tutto 500 le famiglie che, con l’appoggio dell’organizzazione noprofit di Saavedra Sustainable Amazzonia, hanno già cambiato il proprio metodo di coltivazione.

Kenya: un consiglio di anziani per l’allevamento

Non tutti i metodi per contrastare gli effetti del cambiamento climatico sul proprio sostentamento sono però eminentemente ‘pratici’ come quelli sopra esposti. Nel caso dalla tribù keniota dei Borana, per esempio, la sopravvivenza alle siccità dei propri allevamenti di bestiame è passato attraverso un nuovo – ma vecchissimo – modo di pensare. Per difendere il proprio sostentamento, la tribù ha reintrodotto il Dedha, un consiglio formato dai più anziani e saggi allevatori: sono loro, dal 2011, a decidere quali saranno i pascoli da preferire, la divisione delle risorse e i metodi da seguire per la cura del bestiame. Ebbene, a partire dalla reintroduzione del Dedha, le perdite dei capi di allevamento sono diminuite, e i conflitti interni alla tribù per la suddivisione delle risorse naturali sono diventati un lontano ricordo.

Altro che pesticidi, meglio le anatre

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L’ultimo e il più simpatico degli esempi ci porta in una provincia settentrionale della Cina, Heilongjiang. Fino ad alcuni anni fa, in questa area le primavere particolarmente rigide proteggevano in modo del tutto naturale le coltivazioni dai parassiti. Con l’aumento delle temperature, però, i parassiti hanno iniziato ad aggredire le colture, mettendo a rischio il settore dell’agricoltura. Molti contadini, dunque, hanno iniziato ad usare massicce dosi di pesticidi, salvando le proprie piante. Ad avere la peggio, però, è stata anche una buona parte della biodiversità del luogo. Come racconta Fang Yongjiang, «mi trovai a passare in un villaggio in cui non c’erano più né rondini né rane: al loro posto c’erano invece bottiglie di insetticidi, ovunque», aggiungendo che «il villaggio era talmente silenzioso da destare paura». Per questo Fang, anch’esso contadino, ha optato per un metodo per nulla chimico, che affonda le sue radici nel 15° secolo circa: nelle sue coltivazioni di riso, adesso, ci sono delle pattuglie di anatre, le quali eliminano automaticamente insetti e parassiti, senza intaccare le piante. In questo modo, ha i medesimi risultati dei pesticidi, senza però creare nefande conseguenze sulla biodiversità. Per non parlare, ovviamente, della fertilizzazione del terreno.