orto urbano
Agricoltura

Orto17, l’orto urbano di Valentina Correani

Valentina Correani l’abbiamo imparata a conoscere in televisione, alla radio, a teatro e sul grande schermo delle sale cinematografiche. Insomma quando parliamo di lei parliamo di una donna di spettacolo a trecentosessanta gradi. In pochi però sanno che da qualche tempo a questa parte Valentina gestisce anche un piccolo orto urbano in una periferia di Roma. Abbiamo fatto due chiacchiere con lei, le abbiamo chiesto del suo impegno nel suo Orto17 (il nome del suo orto urbano) e la sua visione in termini di politiche agricole, cosa si potrebbe e cosa si deve fare. Ne è scaturita una lunga chiacchierata che avrà sicuramente un seguito in autunno, ma intanto vi invitiamo a leggere la storia di Valentina, che tra una trasmissione e l’altra fa crescere, a Tor Sapienza, piante per lei e per la sua famiglia.

La prima domanda è pure la più scontata. Come sei arrivata dai palchi e dalla televisione a un orto a Tor Sapienza?

In realtà la passione per la terra l’ho sempre avuta. Ma negli ultimi anni devo dire che è stata il punto di partenza per riflessioni importanti sulla vita e sul futuro. Un giorno mi sono fatta una domanda importante , una di quelle domande che tutti, un po’ marzullianamente, dovremmo farci ad intervalli regolari nel corso delle nostre vite. Per fare il punto della situazione. “Qual è la cosa che mi fa stare meglio in assoluto? La cosa che mi riesce facile e non mi fa disperdere energia?”.
È stato incredibile per una come me che cambia idea continuamente, come la risposta sia arrivata in una frazione di secondo: “Mettere le mani nella terra”. E molto semplicemente ho capito che questa più che una passione, era proprio un’esigenza, qualcosa che aveva a che fare con la mia infanzia e il mio imprinting, e che meritava di essere nutrita. Coltivare un orto mi è sembrato un buon modo per iniziare a farlo e per dare spazio alla mia parte più spontanea.

Si tratta di un orto urbano? Quanto hai dovuto aspettare per ottenere quello spazio?

Sì, è un piccolo orto urbano all’interno del Parco di Tor Sapienza. 21 lotti di 40 mq . Il mio è il n.17.
Quando cinque anni fa con il mio compagno ci siamo trasferiti a Centocelle, ho cominciato ad esplorare il quartiere alla ricerca di orti e a monitorare il sito del comune aspettando che uscisse qualche bando di assegnazione di particelle ortive nel mio municipio. Stava per nascere nostro figlio Sante e volevo coltivare qualcosa per la nostra famiglia.

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Come andò?

Con il cambio di residenza presentai anche la richiesta di assegnazione ma il bando era scaduto pochi giorni prima.
Dopo due anni esce un nuovo bando per gli orti a Tor Sapienza. Il 10 dicembre 2014 faccio protocollare la mia richiesta e mi rimetto ad aspettare.
Nel frattempo un mio amico mi dice che se voglio posso coltivare la sua particella nell’orto-giardino del Parco di Aguzzano, un posto meraviglioso tra la Nomentana e la Tiburtina; lui con il lavoro non riusciva più a starci dietro e per me era un’occasione per iniziare a fare pratica. Con grande entusiasmo mi misi a lavorare il terreno e a progettare meticolosamente ogni centimetro di superficie coltivabile per farci entrare più piante possibili.
Il mio primo orto invernale fu abbastanza soddisfacente, poi però con l’estate e la necessità di irrigare tutti i giorni, mi resi conto che la distanza tra l’orto e casa mia era troppa e i miei tempi di donna/mamma di città non mi permettevano di seguire bene le colture.
A malincuore lascio quei 16 mq. E ricomincio a sperare che quella domanda di assegnazione prima o poi venga accettata, che si liberi qualche orto più vicino a casa mia. Finchè, ad un certo punto, mi impongo di non pensarci più.

E alla fine…

Qualche mese più tardi, a settembre 2016, in una di quelle giornate in cui tutto sembra andare storto, ricevo una telefonata dal Municipio.
Una voce di donna mi dice che si sono liberati degli orti a Tor Sapienza e che in base alla graduatoria uno di quelli spetta a me. Mi chiede se sono ancora interessata.
Per poco non faccio un incidente tanta è stata la sorpresa e la gioia.

Cosa ci coltivi?

In autunno e inverno ho raccolto finocchi,cavoli e cavolfiori, biete, cicorie, scarole e lattughe di vario tipo. Ora che è estate stiamo raccogliendo fragole, cetrioli, zucchine, melanzane, peperoni e naturalmente pomodori. Quelli gialli li ho fatti da seme e sono veramente bellissimi e buonissimi. Poi ci sono agli, cipolle, salvia, basilico, prezzemolo, la zucca, tanti fiori (che servono per attirare le api e mantenere il sistema in equilibrio) e piante spontanee, che mi piace lasciare qua e là tra le aiuole.
Quello che produco in 40 mq basta per noi e per gli amici che passano a trovarmi. Mi dà tanta soddisfazione quando invito la gente ad entrare e cercare qualche ortaggio da raccogliere. E se si tratta di bimbi la soddisfazione diventa quasi commozione. 

 

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È possibile vendere quel che si produce?

No. La vendita non è contemplata nel regolamento dell’orto urbano, quello che vi si produce è solo per il consumo familiare.

Ho letto che studi permacultura e pratiche sostenibili, Come ti sei avvicinata a questa materia?  ce ne parli?

Mentre tentavo di ottenere l’orto in affidamento, volevo anche approfondire la mia conoscenza sul mondo vegetale, e sulle tecniche di coltivazione quindi iniziai a seguire un corso di orticoltura urbana presso il C.I.M.I. ( Centro Italiano di Medicina Integrata). Alle lezioni di Fabio Pinzi, agronomo co-fondatore dell’Accademia Italiana di Permacultura, ho capito a fondo quanto la nostra salute, quella del nostro ambiente e quindi della nostra società sia strettamente connessa al modo in cui coltiviamo le piante che mangiamo.
E poi spinta dalla voglia di saperne di più ho seguito dei workshop di Agricoltura Organica e Rigenerativa con Deafal, una ONG che opera in Italia e all’estero insegnando a coltivare in maniera sostenibile , anche su larga scala.

Esattamente che cos’è la permacultura?

La Permacultura è un modello di progettazione che ha come obiettivo la gestione etica e consapevole dell’ambiente e la creazione di stili di vita sostenibili. Si sviluppa in Australia negli anni ’70 a partire dagli studi di Bill Mollison e David Holmgren e si basa su 3 etiche (cura della terra , cura delle persone ed equa distribuzione delle risorse) e 12 principi applicabili ad ogni tipo di sistema, dall’orto alla società.
Quello che sorprende è che alla base di tutto ci sia in realtà qualcosa di molto semplice: l’osservazione e l’imitazione di ciò che avviene nei sistemi naturali.

Seguendoti sui social è possibile notare due hashtag: #orto17 e #Lesortista. Di che si tratta?

L’#Orto17 è un luogo vero, il mio orto appunto, ma anche un luogo virtuale dove indirizzerò nei prossimi mesi tutti i video e le foto che raccontano dal mio punto di vista la realtà dell’orticoltura e il rapporto uomo/natura nello scenario urbano. Dal mio profilo Instagram sto postando già da un po’, una serie di foto di verde spontaneo di città, piccole piante che resistono al cemento, e al controllo dell’uomo. I marciapiedi rotti di periferia a primavera possono offrire spettacoli inaspettati.

E l’Esortista, invece?

“L’Esortista – tira fuori l’ORTO che è in te” è un’idea che mi gira in testa da un po’ di tempo , un progetto che nasce spontaneo dalla voglia e l’esigenza di mettere le mie energie, il mio lavoro, le mie capacità comunicative al servizio di qualcosa di buono, utile e assolutamente necessario. Riportare l’attenzione delle persone, anche coloro che si definiscono “pollici neri” su qualcosa che ci rende migliori, più consapevoli  e responsabili: il rispetto dell’ambiente e la cura della terra, anche se viviamo in città.
C’è una constatazione alla base dell’Esortista, una parola che ho inventato di sana pianta: quando parlo di qualcosa che mi piace veramente, so essere molto convincente e contagiosa.

Qualche novità in vista dopo le vacanze?

Ora ti voglio lasciare un po’ di sana curiosità riguardo questo progetto, ma intanto ti posso dire che a breve sarà on-line un blog , non solo per gli amanti del giardinaggio… anzi!
Per ora consiglio a tutti di stare connessi con la pagina fb de “L’Esortista – tira fuori l’orto che è in te” e con i miei profili social. Ho in serbo molte sorprese.

Ti contatta mai qualche curioso che magari spinto dal tuo esempio inizia a coltivare piccoli pezzi di terra?

Da sempre quando inizio a parlare di orti, terra e piante , la gente si incuriosisce, mi fa un sacco di domande, poi puntualmente mi arrivano anche un sacco di foto. Risentiamoci in autunno e ti dirò quanti orti invernali avrà stimolato L’Esortista. 

Che consigli dai a chi ha il pollice verde ma vive in città e non ha spazi?

Per chi non ha nemmeno lo spazio per un basilico e non può dar sfogo alla passione per le piante consiglio di prendersi cura di un aiuola vicino casa. Oppure informatevi se è possibile gestire un orto urbano nel vostro quartiere.

E a chi ha spazi piccoli?

Avere uno spazio limitato può diventare un’ occasione per allenare l’ingegno e la creatività. Con materiali di recupero si possono trovare mille soluzioni efficienti per la coltivazione di piante orticole e decorative. Andare in verticale è un ottimo modo per ottimizzare gli spazi. Come ci dimostrano le tendenze del garden design degli ultimi anni.

In città americane come Detroit pesantemente colpite dalla crisi, l’orto urbano concesso gratuitamente ha rappresentato un forte stimolo per far tornare delle persone in città. Come vedi il futuro di Roma? È possibile qui un’agricoltura urbana?

Certo che è possibile, anzi è assurdo che con il clima che abbiamo qui, ci ritroviamo così indietro rispetto ad altre città italiane ed europee con condizioni più svantaggiate. In ogni parte di Roma (che è il comune agricolo più grande d’Europa!) ci sono aree verdi che avrebbero bisogno di attenzioni e cure e laddove c’è collaborazione tra cittadini nascono progetti ed esperienze che fanno sperare in un futuro sostenibile per questa città. Il regolamento per gestire un orto urbano favorisce le iniziative di gruppi e associazioni, poi i tempi lunghi della burocrazia, e gli interessi economici sulle aree a disposizione, rendono tutto più faticoso, ma non impossibile.
Uno slogan chiaro e semplice per riassumere il concetto potrebbe essere “Più ORTI, MENO CENTRI COMMERCIALI!” che invece sorgono come funghi in aree urbane e periurbane , ad una velocità impressionante.

Ormai la big issue quando si parla di Agricoltura e AgTech è: Nel 2030 saremo troppi. Se non cambia qualcosa non avremo abbastanza cibo per tutti. Pensi gestire un orto urbano potrebbe essere un pezzo della soluzione?

Certo, esperienze come quella di Detroit, dove ogni anno negli orti autogestiti dai cittadini si producono 200 tonnellate di frutta e verdura, ne sono un esempio.
Ma per trasformare le nostre città, dobbiamo prima fare uno scatto culturale noi come individui, prima di tutto dobbiamo cambiare l’approccio con le risorse che abbiamo a disposizione.

Per concludere ti chiedo quali porgetti (agricoli) vedi nel tuo futuro.

Sogno di poter trasformare il terreno e la casa che erano dei miei nonni a Pantelleria, in un luogo da cui diffondere valori positivi, promuovere un turismo sostenibile e un’educazione alla ruralità per la gente che viene dalla città. Ma i processi virtuosi sono quelli che adottano soluzioni piccole e lente, come in natura. Quindi per ora parto dall’#ORTO17.


La foto in copertina è di Simona Ghizzoni