Proteine hi-tech: il lungo percorso verso la carne senza carne
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Proteine hi-tech: il lungo percorso verso la carne senza carne

La produzione di carne pulita, ovvero ottenuta senza uccidere animali, sta compiendo grandi passi in avanti. Tale movimento mira a capovolgere il nostro sistema agricolo e industriale, sovvertendone le regole principali. La prima, e più eclatante, è proprio l’imprescindibile necessità di allevare ed uccidere animali per produrre della carne. Sappiamo che proprio l’allevamento del bestiame, particolarmente quello bovino, ha un impatto devastante per il pianeta. Buona parte della CO2 immessa nell’aria arriva proprio da qui, dalla crescita degli animali da cui ricaviamo la carne. Al di là delle emissioni inquinanti stesse degli animali, l’allevamento scatena un ciclo continuo di sprechi idrici, oltre a caratterizzarsi per l’uso di antibiotici, utili a tenere gli animali in salute. Infine, impone all’agricoltura di coltivare ciò che serve al bestiame come nutrimento, limitando la varietà vegetale ed impoverendo i terreni. Le proteine hi-tech potrebbero, però, rappresentare una rivoluzione in tal senso, estromettendo gli animali dal processo di produzione della carne. Ma il percorso sembra lungo e tortuoso, soprattutto per ragioni culturali ed economiche.

Proteine hi-tech: le startup più innovative

Vi abbiamo parlato in 2 precedenti articoli di Impossible Foods e Memphis Meats, startup americane che fanno della produzione di carne vegetale la propria bandiera. Ma non sono le uniche e, anzi, il movimento si sta allargando a vista d’occhio. Ne rappresenta un caso esemplare IndieBio, acceleratore di biotecnologie che cresce e tutela molte startup nel settore. Pensiamo, ad esempio, a NotCo, azienda cilena che utilizza un mix di scienza delle piante ed intelligenza artificiale per produrre maionese in laboratorio. Stessa cosa vale per Finless Foods, startup composta da 2 ragazzi impegnati a creare frutti di mare senza ricorrere a forme di vita marine.  Si tratta ancora di un mercato di nicchia, per quanto sia ben chiara l’intenzione di chi lo promuove a far arrivare questi prodotti a tutti. Ryan Bethencurt, direttore di IndieBio, ad esempio, ha in mente un obiettivo chiaro. Dice, infatti, che “se non riusciremo a far usare i nostri prodotti a miliardi di persone, vorrà dire che avremo fallito“. Un progetto a cui non manca certo ambizione.

Gli ostacoli che rallentano il cammino delle proteine vegetali

Se da un punto di vista scientifico, le proteine hi-tech stanno diventando sempre più simili a quelle animali, rimangono difficoltà legate a questioni culturali ed economiche. Si tratta, infatti, di sovvertire un sistema intero che poggia da sempre su pilastri ben radicati. Il primo elemento da considerare è sicuramente quello culturale. Introdurre nelle persone la convinzione di poter mangiare un hamburger fatto con carne di origine vegetale non è impresa da poco, soprattutto negli Stati Uniti, patria dei fast food e di imponenti allevamenti. Significherebbe stravolgere il sistema produttivo del bestiame, ma non solo. Anche l’agricoltura, infatti, dovrebbe cambiare. Con meno animali da nutrire, non ci sarebbe più bisogno di tutto il foraggio prodotto attualmente. Le immense coltivazioni di mais non avrebbero più senso di esistere, venendo semmai sostituite da altre colture più adatte alla trasformazione in carne pulita. È il caso, ad esempio, di lenticchie, fagioli o lupini. A rallentare questo enorme cambiamento sono, quindi, tutti i componenti della tradizionale catena produttiva della carne, consumatori compresi, poco restii ad uno stravolgimento così radicale di abitudini ed interessi economici. Però, come già visto nel campo dell’agtech, così anche il foodtech sta raccogliendo notevoli investimenti, soprattutto da personaggi come Bill Gates o Richard Branson, vicini alle cause umanitarie e sociali.

Proteine hi-tech: il risvolto della medaglia

È vero che la scienza ha compiuto enormi passi in avanti ma rimane, al momento, una profonda criticità legata alla produzione di proteine hi-tech. Parliamo dell’utilizzo del sangue bovino fetale. Si tratta, in sostanza, del sangue dei feti estratti dalle mucche prime della macellazione. L’immagine è decisamente forte, anche perché ricavare tale sostanza può richiedere anche 5 minuti, tempo in cui il feto agonizza terribilmente prima di morire. Sembra impossibile, attualmente, prescindere in modo assoluto dall’utilizzo di queste cellule fetali per produrre proteine innovative. In tal senso, la strada che la scienza deve percorrere è ancora molto lunga.

Comunicare di più per allargare il mercato

Come si è detto, il mercato delle proteine hi-tech è ancora fortemente di nicchia. Fra le varie ragioni, va considerato anche il prezzo finale del prodotto. Se pensiamo agli Hamburger, ad esempio, quelli con carne vegetale costano almeno il doppio dei classici panini di McDonald’s. Ma non solo, un grande ostacolo è rappresentato dalla mancanza di dialogo fra startup e consumatori, fra chi realizza il prodotto e chi lo utilizza. Ovviamente, è necessario che ci sia il supporto di tutti coloro che si posizionano all’interno della catena produttiva, comprese le istituzioni, talvolta non particolarmente sensibili a tale tipo di tematiche.