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Inquinamento

Rifiuti elettronici in aumento e poche normative a riguardo. L’allarme del Global E-waste Monitor 2017

Il progresso spesso fomenta un consumo irragionevole e spropositato. Per ogni cellulare è già pronta la nuova versione con maggiori funzionalità accattivanti e l’ultimo televisore ultra piatto si può facilmente sostituire con un altro dalle soluzioni tecnologiche all’avanguardia. E dove vanno a finire tutti i rifiuti elettronici? Non solo non spariscono nel nulla ma rappresentano un enorme ed incombente problema ambientale con devastanti conseguenze sulla salute, alimentate dall’incapacità internazionale di creare una strategia condivisa.

Quanti rifiuti elettronici vengono prodotti?

Secondo The World Count, un sito che tiene conto dei rifiuti elettronici prodotti in tempo reale, ogni anno nel mondo ne vengono prodotti circa 40 milioni di tonnellate. Per dirlo in altri termini, 800 laptop vengono buttati ogni secondo. Analisi confermate dal rapporto Global E-waste Monitor – 2017 pubblicato dall’United Nations University, dall’International Telecommunication Union e dall’International Solid Waste Association che tiene traccia della quantità di rifiuti elettronici nel mondo. Nel 2016 sono stati raccolti 44.7 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici (+ 8% in più rispetto ai 41,4 milioni di tonnellate prodotte nel 2014) pari a “nove Grandi Piramidi di Giza, 4500 Torri Eiffel, o 1,23 milioni di camion da 40 tonnellate a 18 ruote a pieno carico, sufficienti a formare una linea da New York a Bangkok andata e ritorno”.

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L’Asia è stato il Paese che ha generato il maggior numero di rifiuti elettronici, seguito da Europa, Americhe, Africa e Oceania. In termini di rifiuti elettronici generati per abitante, l’Oceania è al vertice della classifica (17.3 kg/ab), con un tasso di raccolta e riciclo pari al 6% secondo i dati. Segue l’Europa con una media di 16,6 kg/ab con un tasso di raccolta molto elevato (35%), al contrario delle Americhe che raccolgono solo il 17% dei rifiuti elettronici generati (circa 11,6 kg/ab), cifra paragonabili al tasso di raccolta in Asia (15%).

A preoccupare maggiormente i ricercatori dello studio sono i pochissimi dati a disposizione. Dei 44.7 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti, solo il 20% (8.9 Mt) è stato tracciato e documentato. E il restante 80%? Non è documentato e la maggioranza è probabilmente scaricata, scambiata o riciclata in modi casuali e potenzialmente dannosi. Il basso tasso di raccolta comparato con la quantità totale di rifiuti elettronici generati è in parte spiegata dal fatto che solo 41 paesi dispongono di statistiche ufficiali sui rifiuti elettronici. Per altri 16 Paesi la quantità di rifiuti elettronici è stata solo stimata attraverso ricerche e analisi comparate. Tuttavia, un numero crescente di paesi si sta adoperando per adottare e mettere in vigore una legislazione in materia di rifiuti elettronici. Attualmente, il 66% della popolazione mondiale è tutelata da leggi nazionali sulla gestione dei rifiuti elettronici, un dato in crescita rispetto al 44% del 2014.

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Qual è il valore perso dall’aumento dei rifiuti elettronici?

Comunemente definiti con l’acronimo RAEE (Rifiuti da apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) con il termine “rifiuti elettronici” ci si riferisce a diverse tipologie, tra cui: frigoriferi, condizionatori, pompe di calore, schermi e televisori, lampadine, grandi e piccoli elettrodomestici, cellulari e computer, strumenti di monitoraggio e controllo e così via. I rifiuti elettronici sono per lo più costituiti da componenti in plastica e materiali pregiati, tra cui oro, argento, rame, platino e palladio ma anche ferro, alluminio, piccole quantità di metalli pesanti (come mercurio, piombo, cadmio ecc.) e sostanze potenzialmente pericolose (ad esempio, nei circuiti stampati). Sebbene nel 2016 il valore totale di tutte le materie prime presenti negli e-waste sia stato stimato a circa 55 miliardi di euro -più del prodotto interno lordo del 2016 di molti Paesi nel mondo, il tasso di recupero e riciclo è ancora molto basso.

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I rischi per la salute e l’ambiente

Un fatto è certo: la popolazione esposta a sostanze potenzialmente pericolose attraverso pratiche di gestione inadeguate e non sicure relative allo smaltimento e al riciclaggio di apparecchiature elettriche ed elettroniche dismesse è in aumento. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità i rischi per la salute derivano dal contatto diretto con i materiali nocivi, dall’inalazione di fumi tossici e dall’accumulo di sostanze chimiche nel suolo, acqua e cibo che costituiscono anche una minaccia per la biodiversità. Questi dati sono stati confermati da numerosi studi tra cui l’“Health consequences of exposure to e-waste: a systematic review” pubblicato dalla nota rivista scientifica The Lancet che ha evidenziato un cambiamento della funzione tiroidea, cambiamenti nell’espressione e nella funzione cellulare, peggioramento della salute neonatale, diminuzione della funzionalità polmonare. Nei bambini tra gli 8-9 anni che vivono in città prossime a centri di riciclaggio sono state inoltre riscontrate maggiori problematiche di salute rispetto alla media.

L’economia circolare è la strategia da adottare

Come dimostra Fairphone, un’impresa sociale con sede ad Amsterdam che mira al recupero dei dispositivi cellulari, il modello lineare di economia adottato fino ad ora risulta dispendioso, inefficiente ed economicamente controproducente. È qui che entra in gioco un nuovo modo di pensare il processo di produzione, utilizzo e riciclo che valorizzi il recupero dei rifiuti elettronici, incoraggi una gestione poco impattante e prevenga l’inquinamento ambientale dovuto allo smaltimento incontrollato. La normativa, oltre a sviluppare una maggiore tracciabilità dei rifiuti, dovrebbe quindi incoraggiare una migliore progettazione a monte che faciliti l’intervento di riparazione sul prodotto, promuova esempi durevoli, incoraggi il riciclaggio e il recupero di materiali preziosi.