row-bot
Inquinamento

Come ripulire le nostre acque: ecco il “row-bot” che mangerà il nostro inquinamento

Un robot in grado di ripulire le nostre acque e generare energia verde, “mangiando” l’inquinamento. Macchine che in un futuro non troppo lontano potrebbero essere biodegradabili, in modo da poter essere diffuse a migliaia senza la preoccupazione di doverle tracciare. Ancora: robot buoni persino da ingerire, come caramelle, per poter offrire esami medici. Sono solo alcune delle nuove frontiere della robotica, la scienza che promette di migliorare le nostre vite attraverso una miriade di applicazioni. Le ha presentate in un recente TED – Tecnology Entertainment Desing, il marchio di conferenze americane – Jonathan Rossiter, professore di robotica e sistemi intelligenti presso l’Università di Bristol, nel Regno Unito. Ma cerchiamo di conoscere meglio questo row-bot.

Dalla natura alla row-bot

Sembrerà “antico”, rispetto all’idea di futurismo suggerita da macchinari così sofisticati, ma per costruire robot di questo genere è fondamentale l’osservazione della natura che ci circonda. Come nel caso del row-bot, gioco di parole intraducibile in italiano che mette insieme le parole “row”, ovvero remare, e “robot”: il robot-vogatore, appunto, che promette di depurare le nostre acque dall’inquinamento di petrolio e dall’eccesso di alghe. Per assemblarlo, i suoi ideatori si sono rifatti a due organismi viventi: lo squalo elefante, il secondo pesce più grande al mondo, e il barcaiolo d’acqua, un insetto acquatico della famiglia dei Corossidi che utilizza le sue ali per vogare, come fosse una piccolissima canoa.

Simile a un organismo vivente, il Row-bot è dotato di cervello, corpo e stomaco. Il corpo è fatto di plastica, con delle pinne che gli permettono di muoversi sulla superficie dell’acqua. Le bocche, invece, sono morbide e gommose, mentre lo “stomaco”, il vero centro pulsante del robot, è una cella a combustibile microbico.

Sarà possibile ripulire le acque e creare energia pulita?

Niente paura, il funzionamento è più facile di quello che sembra. Lo “stomaco” del row-bot deriva da una tecnologia utilizzata già ai tempi delle missioni spaziali americane Apollo, risalente a quaranta-cinquanta anni fa. In quel caso l’energia era creata da una miscela di ossigeno e idrogeno. Con gli sviluppi più recenti, la combinazione “vincente” è quella data da ossigeno e un composto di microbi che reagisce dinanzi a un certo materiale organico. Alghe, ad esempio. O petrolio greggio. In questo modo, con una sola macchina, si potranno ottenere due risultati: ripulire le acque e creare energia. Non male.

Parliamo, è il caso di sottolinearlo, di quantità di energia piuttosto ridotte, limitate: si tratta pur sempre di microbi. Il robot mangia- inquinamento, dopo aver digerito la sua dose di alghe – che con la loro massiccia presenza minacciano diversi ecosistemi, è bene ricordarlo – o il suo, chiamiamolo, “succo di petrolio”, potrà tuttavia inviare, ad esempio, un messaggio che descrive quello che ha incontrato e ingerito. Soprattutto, potrà fornire la sua posizione. Un fattore decisivo, visto che il recupero del robot è essenziale per evitare che la sua presenza sia a sua volta invasiva e inquinante. In fondo possiede batteria e fili. In altre parole, sostanze tossiche.

Verso i robot biodegradabili

E qui arriva un ulteriore passo in avanti. Non sarebbe bello, si chiede Rossiter, se potessimo liberare nell’ambiente migliaia, milioni di questi robot mangia-inquinamento? Macchine che non andrebbero tracciate e recuperate, ma perfettamente biodegradabili e quindi capaci di dissolversi, svanire una volta compiuta la loro missione? Be’, la risposta è sì: è possibile costruire robot biodegradabili, macchine che al posto di un motore possiedono dei “muscoli artificiali”, materiali intelligenti che grazie all’elettricità possono muoversi, piegarsi. Muscoli di gelatina che costruiranno robot capaci di dissolversi. A questo punto, l’ultimo stadio è un robot-gommosa da poter ingerire nei nostri stomaci: un robot che scorrerà nel nostro corpo, verifica la presenza o meno di malattie, effettua, perché no, inezioni, per poi essere consumato nel nostro stomaco.

Un modo davvero rivoluzionario di pensare ai robot.