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Cambiamento climatico

Uragano Harvey: non chiamiamolo ‘disastro naturale’ ma ‘disastro umano’

Nel giro di poche settimane gli Stati Uniti sono stati devastati e continuano ad esserlo da due degli uragani più potenti della storia. Prima Harvey, che ha colpito Texas e Louisiana, e poi Irma che, dopo essersi abbattuto su Cuba, si è spostato sulla costa occidentale della Florida e non ha ancora esaurito la sua forza distruttiva.

L’uragano Harvey è arrivato in Texas dal mare il 25 agosto e, per la quantità di pioggia portata è stato descritto dai meteorologi come un evento senza precedenti, il più forte degli ultimi 13 anni. La maggior parte dei danni sono stati registrati nell’area di Houston, la città più popolosa dello stato. Al momento si sta ancora cercando di gestire l’emergenza e di ripristinare l’accessibilità di intere vie urbane che sono state bloccate dall’inondazione ma poi verrà anche il tempo dei bilanci e delle analisi. Come sempre avviene nei casi di disastri naturali, si dovrà riflettere sulle cause e su quanto avrebbe potuto essere evitato o perlomeno arginato.

Uragano Harvey: non è colpa soltanto dei cambiamenti climatici

La sempre maggiore irruenza della natura è senza dubbio provocata dall’aggravarsi del fenomeno dei cambiamenti climatici. Ma parte delle colpe delle conseguenze disastrose vanno anche attribuite ad una carenza nella progettazione di edifici e infrastrutture e nella mancanza di una serie di regolamentazioni a favore di una maggiore resilienza e anche di misure emergenziali. Questo è il punto di vista di Ilan Kelman, professore esperto in Risk, Resilience e Health Global dell’Università di Londra, in Inghilterra e di Kristiansand in Norvegia, che è stato recentemente pubblicato sulle pagine del portale online dezeen.com.

Ilan Kelman

Non è un ‘disastro naturale’ ma umano

Kelman parte da una considerazione: l’uragano Harvey è stata una delle tempeste più gravi degli ultimi decenni ma non si può parlare di disastro naturale, perché il disastro è stato causato da alcune decisioni umane, prima fra tutte quella di costruire in una zona ad alto rischio senza aver messo in atto delle misure preventive. È chiaro che qualsiasi area del mondo ha dei rischi e quindi spesso è difficile riuscire a preventivarli e ad evitare tragedie. Ma quando si ha la consapevolezza, supportata da dati e scenari a lungo termine, come nel caso di Houston, di un alto grado di pericolosità, è chiaro che gli interventi di pianificazione e progettazione avrebbero dovuto tenerne in forte considerazione. Come di fatto non è avvenuto.

Le colpe di Houston, fra urbanizzazione selvaggia e rincorsa al profitto

Retta da un’economia petrolifera, la città si è allargata a dismisura senza pensare alle conseguenze, ma soltanto al profitto dettato anche dalla bellezza delle località costiere. Houston è stata soggetta a interventi di urbanizzazione e quindi di cementificazione, preoccupandosi troppo poco di quanto una pianura alluvionale debba essere in grado di potenziare la propria resilienza in caso di forti piogge.

Aumentare la resilienza dei centri urbani

Progettare in modo consapevole, argomenta l’esperto, significa compiere una serie di scelte che possono andare a discapito del profitto immediato ma che possono proteggere una città e i propri abitanti in caso di calamità. Come ad esempio l’utilizzo, per la realizzazione di edifici e strade, di materiali permeabili, che evitino un ristagno dell’acqua e soprattutto l’incremento delle aree verdi. La vegetazione è in grado di assorbire grandi quantità di acqua ed è quindi uno dei rimedi più semplici ed efficaci per aumentare la resilienza dei centri urbani.

Certo è, però, spiega Kelman, che anche in questo caso l’intervento umano deve essere consapevole, perché non tutti gli arbusti sono in grado di resistere a periodi di siccità o di fungere a dovere da serbatoio naturale. Inoltre, la piantumazione di specie non native, come spesso accade, può danneggiare gravemente l’ecosistema locale. Insomma, qualsiasi intervento umano ha sempre dei limiti e dei rischi che vanno calcolati.

Edifici costruiti a prova di allagamento

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Poi c’è la progettazione delle strutture edilizie. Per evitare parte dei danni provocati dall’uragano Harvey sarebbe bastato costruire abitazioni rialzate di un piano, ad esempio, adibendo il pian terreno ad altri usi. Ma queste decisioni, secondo Kelman, non dovrebbero essere frutto dei singoli progettisti ma dovrebbero essere prescrizioni normative. Ovvero, i codici edilizi di alcune aree ad alto rischio dovrebbero prevedere una regolamentazione ad hoc, che dovrebbe essere rispettata per obbligo di legge.

Equità nella gestione dell’emergenza

La stessa responsabilità a livello di amministrazione locale, federale o statale dovrebbe inoltre essere prevista negli interventi di gestione dell’emergenza. Ogni volta che si verifica o si preannuncia un evento catastrofico la migliore opzione resta quella dell’evacuazione. Ma non tutti possono permetterselo. Devi disporre di un veicolo privato, avere la libertà di lasciare casa e lavoro e la possibilità di pagarti un alloggio alternativo.

È tempo di assumersi la responsabilità

Il cambiamento climatico – conclude provocatoriamente Kelman – non ha impedito la pianificazione di regolamenti. Il cambiamento climatico non ha provocato l’aumento del 40% della popolazione di Houston dal 1990. Il cambiamento climatico non ha fatto costruire una fabbrica di prodotti chimici in una zona alluvionale e provocato il ritardo con cui i politici si sono occupati delle misure di sicurezza. Invece di parlare di disastro naturale varrebbe la pena che l’uomo si assumesse le proprie responsabilità.