L'evoluzione del buco nell'Ozono (foto: pixshark.com)
Cambiamento climatico

16 maggio 1985: a trent’anni dalla scoperta del buco nell’Ozono

NASCE UNA COSCIENZA ECOLOGISTA. Il 16 maggio 1985 tre ricercatori del British Antarctic Survey pubblicano, su Nature, un articolo in cui per la prima volta si parla di buco nell’ozono, ovvero di quello che si presentava agli scienziati come un enorme squarcio dell’atmosfera. Da subito si comprende che il fenomeno è legato alle emissioni di clorofluorocarburi contenuti nei prodotti industriali ai quali si deve l’assottigliamento dello strato di ozono che protegge la Terra dalle radiazioni ultraviolette, molto dannose alla vita. Questa scoperta, se da un lato ha dimostrato quanto l’uomo possa mettere in pericolo il Pianeta, dall’altro ha dato il via a una coscienza ambientalista che nel 1989 ha portato alla definizione del Protocollo di Montreal e alla messa al bando di tutte le sostanze pericolose per la salute del pianeta.

POCO È CAMBIATO. Ma a trent’anni dalla scoperta del buco nell’ozono che cosa è cambiato? Se nel 1985 il “buco” era largo 16,5 milioni di km quadrati, nel 2010 le sue dimensioni raggiungevano i 30 milioni di km quadrati. Oggi è leggermente diminuito a 24,1 milioni di km ma la situazione non si può di certo dire risolta nonostante l’esistenza del protocollo di Kyoto del 1997, entrato in vigore nel 2005, senza però l’adesione degli Stati Uniti d’America. Con questo trattato internazionale gli Stati firmatari si sono impegnati a ridurre le emissioni di inquinanti quali biossido di carbonio, metano, ossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo, in una misura non inferiore all’8,65% rispetto alle emissioni registrate nel 1985. Il protocollo sarebbe dovuto durare fino al 2012 ma è stato prolungato al 2020 visto che l’obiettivo è ben lungi dall’essere raggiunto.