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Balene colpite dalle navi: qual è la soluzione?

Come è noto la caccia alle balene è ormai vietata in quasi tutto il mondo. Di certo il divieto è arrivato molto, molto tardi: si stima che nel Novecento siano stati uccisi in tutto quasi 3 milioni di cetacei. Purtroppo, però, le ci sono ancora oggi enormi minacce che mettono in pericolo la vita della balene. Si parla dell’inquinamento chimico delle acque, delle macro e delle microplastiche che riempiono l’oceano, nonché ovviamente delle conseguenze dei cambiamenti climatici. Ma attualmente c’è una minaccia persino maggiore: ogni anno infatti sono migliaia le balene colpite dalle navi in transito, con esiti quasi sempre fatali. Come mettere fine a questo scempio?

Quante balene colpite dalle navi?

Non è facile individuare il numero di balene colpite dalle navi ogni anno. Anzi, è praticamente impossibile: nessuno studio è riuscito a raggruppare tutti i dati raccolti a livello nazionale, i quali peraltro sarebbero tutti fuorché completi. Si stima che le collisioni tra navi e balene siano comprese tra le migliaia e le decine di migliaia ogni anno. Su una cosa non ci sono dubbi: le balene colpite dalle navi sono in aumento. E questo perché, molto semplicemente, sta crescendo velocemente il traffico nei mari e negli oceani. Il numero delle navi attive a livello mondiale si è infatti quadruplicato tra il 1992 e il 2012. Lungo le coste dell’Europa occidentale, il numero delle navi e delle barche in movimento è aumentato di un terzo a metà degli anni 2010. E putroppo il numero di navi è sempre più alto anche nelle aree protette: si pensi per esempio all’arcipelago delle Ebridi interne, dove nuota un terzo delle focene scozzesi, e dove il l traffico è aumentato di oltre il 400%. Ecco allora che le balene sono sempre più a rischio, ovunque, dal Mediterraneo con i suoi capodogli fino alle balenottere azzurre che nuotano di fronte al Cile. Come ridurre le collisioni e quindi le morti delle balene?

Le due soluzioni proposte

Finora le principali soluzioni per ridurre le collisioni tra cetacei e navi sono due. La prima è quella che prevede di ridisegnare le rotte delle navi commerciali, allontandole da quelle seguite dalle balene nei loro spostamenti; la seconda prevede un limite di velocità per le navi. Entrambe queste soluzioni, putroppo, hanno dei difetti notevoli.

Certo, spostare le navi lontane dagli habitat dei cetacei sarebbe sicuramente molto efficace. Il problema è che questa soluzione sembra praticamente impossibile. Si pensi per esempi al Golfo di San Lorenzo, lì dove l’Oceano Atlantico tocca la costa canadese: qui le rotte navali vanno da est a ovest, mentre le balene si muovono da nord a sud. Fino a quando ci saranno navi in movimento, l’incrociarsi delle rotte sarà praticamente inevitabile.

La seconda ipotesi è quella di introdurre dei limiti di velocità, così come effettivamente è già stato fatto in determinate aree. Il limite adottato è quello dei 10 nodi, o di 18,5 chilometri orari: uno studio ha dimostrato che procedendo a 37 chilometri orari, in caso di collisione, la morte della balena è quasi sicura, laddove invece le probabilità si riducono al 50% dimezzando la velocità. La stessa matematica dimostra che questa non è una soluzione, sapendo peraltro che delle balene ferite dopo la collisione con uno scafo potrebbero morire poco dopo, peraltro dopo giorni di stenti indicibili.

Una nuova tecnologia per salvare le balene

Vista l’inefficacia delle soluzioni “classiche”, c’è chi sta studiando un nuovo sistema. Dei ricercatori del Woods Hole Oceanographic Institution in Massachusetts stanno infatti lavorando a un software che, una volta collegato a delle telecamere termiche, è in grado di individuare l’aria calda emessa dalla balene attraverso i propri sfiatatoi. Per ora la tecnologia permette di individuare le balene a circa 2 o 3 chilometri, una distanza sufficiente per le barche più piccole e manovrabili, ma non bastante per le più grandi e pesanti navi. L’obiettivo è di portare il “raggio” utile fino a 4 chilometri, così da poter evitare la collisione anche per le navi più grandi, almeno nell’80% dei casi.