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Green economy

Corsa alle tecnologie per scongiurare i cambiamenti climatici

In un mondo con migliaia di centrali elettriche a carbone, quasi 2 miliardi di auto e camion e miliardi di tonnellate di petrolio e gas naturale estratti e bruciati, non è una sorpresa che ogni anno vengano scaricati in atmosfera più di 40 miliardi di tonnellate di CO2. Gli oceani e la vegetazione ne assorbono un po’ ma non è sufficiente. Le concentrazioni di CO2 crescono a un ritmo incalzante di anno in anno e hanno raggiunto nel 2016 un quantitativo di 400 parti per milione, rispetto alle 280 dell’era pre-industriale. Si può essere più o meno catastrofici nell’analizzare questi dati ma certo è che siamo davanti a un’emergenza e il dato certo è che la qualità dell’aria che respiriamo non è minimamente paragonabile a quella di qualche centinaio di anni fa. E le conseguenze sono tanto evidenti quanto preoccupanti.

Corsa alle tecnologie: che ruolo hanno nella rivoluzione energetica?

Per avere qualche speranza di rallentare il fenomeno dell’inquinamento o addirittura di eliminarlo, è senz’altro necessaria una rivoluzione energetica e un ruolo fondamentale lo giocheranno anche le innovazioni tecnologiche.


Scienza e politica riusciranno a vincere questa sfida? Gli ingegneri e imprenditori saranno in grado di sviluppare e distribuire un numero sufficiente di tecnologie green e i governi riusciranno a varare politiche e incentivi per la sostenibilità ambientale, il tutto in un arco temporale sufficiente ad evitare i probabili effetti catastrofici dei cambiamenti climatici?

Gli incoraggianti progressi di fotovoltaico ed eolico

Negli ultimi anni i progressi ottenuti sul fronte delle rinnovabili, fotovoltaico ed eolico in primis, sono evidenti. Le nuove tecnologie consentono delle prestazioni in termini di efficienza decisamente superiori a quelle del passato e con dei costi ormai davvero bassi. Eppure la cosiddetta transizione energetica è ancora lontana. Il mondo continua a reggersi sull’energia tradizionale e ciò che spaventa maggiormente negli scenari a medio-lungo termine è lo sviluppo che stanno registrando alcuni paesi, come la Cina e l’India, che porterà a un ulteriore boom dei consumi energetici e quindi di emissioni nocive.

La CO2 deve essere rimossa

Se è impensabile bloccare il progresso e l’industrializzazione è altrettanto evidente che il quantitativo di Co2 che viene prodotto deve essere rimosso. Non ci sono alternative.

Oliver Geden, un analista climatico a capo della Divisione di ricerca dell’Unione Europea dell’Istituto tedesco per gli affari internazionali e di sicurezza, dice che è “abbastanza chiaro” che senza tecnologie di rimozione di carbonio, la comunità mondiale non raggiungerà gli obiettivi concordati a Parigi di limitare l’aumento delle temperature a 1,5°C. Un punto di vista condiviso anche dal Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) secondo cui almeno 500 miliardi di tonnellate di CO2 vanno rimosse in questo secolo se si vuole evitare i peggiori danni provocabili dal riscaldamento globale. Nonostante ciò secondo Geden di strategie di rimozione di carbonio non se ne parla.

Produzione di bio-energia combinata con la cattura e lo stoccaggio della CO2

Di tecnologie al vaglio ce ne sono diverse. Lo stesso IPCC ha sviluppato la tecnologia BECCS, che combina la produzione di energia da biomassa con la cattura della CO2 emessa dalla combustione e il suo immagazzinamento in depositi sotterranei e che permette di catturare una maggiore quantità di emissioni di CO2 rispetto a quella rilasciata durante la produzione dell’energia. Questo avviene perché si ipotizza che la biomassa, una volta bruciata, rilasci nell’atmosfera la stessa quantità di CO2 assorbita durante la crescita delle piante attraverso la fotosintesi. Il sistema CCS (Carbon Capture and Storage) permette di catturare e depositare sotto terra della CO2 aggiuntiva, traducendo la combinazione di bio-energia e CCS in emissioni nette negative.


Per quanto questa opzione risulti promettente e sia stata sperimentata in diversi siti, permangono dubbi sulla sua disponibilità, sul suo possibile utilizzo su larga scala e sui potenziali rischi ad essa associati. I principali ostacoli all’applicazione della tecnologia sono la vicinanza degli stoccaggi ai luoghi di produzione dell’energia con rischi di fuoriuscita delle emissioni immagazzinate e la necessità di una sufficiente fornitura di biomassa che non comprometta o riduca la produzione agricola, la sicurezza alimentare e la biodiversità degli ecosistemi.

Piante ingegnerizzate per sostituire il petrolio

Quindi quali sono quindi le alternative alla tecnologia BECCS? Una potrebbe essere quella di migliorare i metodi naturali per la cattura della CO2. Le piante per natura catturano ingenti quantitativi di Co2 e molti scienziati stanno investendo in alcune tecniche, come quelle della nanotecnologia, per aumentare questa capacità. E si va anche oltre, con la creazione di colture da cui ricavare biocombustibili. E’ il caso del Programma PETRO che sta per “piante ingegnerizzate per sostituire il petrolio” sviluppato dal Dipartimento statunitense per l’energia. L’obiettivo è dimezzare i costi dei biocarburanti derivati da piante come il tabacco e l’albero di pino. Un gruppo di ricerca dell’Università della Florida sta ad esempio cercando di aumentare la produzione di trementina, un biocarburante liquido naturale che può essere isolato dal pino. La pianta sviluppata dai ricercatori aumenta la capacità delle foreste di immagazzinare il biocarburante e accrescere la produzione di trementina dal 3 al 20%. Secondo le stime, in questo modo sarà possibile produrre 100 milioni di galloni di carburante all’anno con meno di 25.000 acri di foresta.

Alberi artificiali cattura CO2

Un’altra strategia su cui si sta investendo è quella degli ‘artificial trees’, alberi artificiali che catturano molta più CO2 di quelli veri. Se un albero normale con le sue foglie impiega un anno ad assorbire una tonnellata del gas serra, l’albero artificiale è in grado di raggiungere questo obiettivo in un giorno.
La tecnologia è attualmente studiata dalla Columbia University e prodotta a livello di prototipo dall’azienda Global Research Technologies di Tucson in Arizona. Il problema è il prezzo visto che ognuno di questi alberi costa 20mila dollari e un reale abbattimento dei costi potrebbe avvenire soltanto con la vendita su scala globale.

Torri e aspirapolveri mangia-smog

Simili negli intenti sono la nota Smog Free Tower, ideata dall’ artista e designer olandese Dan Roosegaarde e l’’aspirapolvere mangia-smog sviluppata dalla startup olandese Envinity Group, un dispositivo di cui abbiamo parlato recentemente in grado di aspirare aria dall’atmosfera e di purificarla.

La scienza senza la politica non può molto

Insomma, di ricerche in corso ce ne sono davvero tante altre. E’ vero, la maggior parte sono ancora in fase di sperimentazione e sembrano ben lontane da un’applicazione reale. Ma la questione principale rimane una e una sola: le innovazioni da sole non bastano. Soltanto quando e se i governi di tutto il mondo sceglieranno di adottare un modello alternativo per la produzione e il consumo di energia allora si potranno vedere risultati concreti. Senza una visione e una strategia condivisa le innovazioni tecnologiche rischiano di rimanere degli ‘esercizi di stile’.