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Giappone: carbon neutrality entro il 2050 con l’idrogeno

Più di 130 paesi dovrebbero raggiungere la carbon neutrality entro il 2050. Molti di questi paesi stanno impostando il percorso da seguire per arrivare al fatidico impatto zero del carbonio, altri hanno già presentato e messo in essere dei piani precisi per rispettare tale obiettivo.

A partire dall’ottobre del 2020, il Giappone è entrato ufficialmente a far parte di questa lista, attraverso l’impegno preso dal primo ministro Yoshihide Suga. Di più: il paese nipponico si è dato anche un importante obiettivo sul breve termine. Lo stesso Suga ha infatti dichiarato che il Giappone mira a ridurre le emissioni di gas serra del 26% rispetto al 2013 entro il 2030.

Questo, unito all’obiettivo della carbon neutrality entro il 2050, costruisce un percorso ancora più audace rispetto a quello deciso con gli Accordi di Parigi. Va però detto che il Giappone non è il solo ad aver fissato degli obiettivi particolarmente audaci, sulla scia di quanto fatto, per esempio, dal Canada e dall’Unione Europea.

Cosa aiuterà e cosa frenerà il Giappone nella corsa verso la carbon neutrality

Attualmente il Giappone è il sesto paese al mondo quanto a emissioni di gas serra, dopo Cina, Stati Uniti, Unione Europea, India e Russia. Questo dato rende ancora più audace la decisione di Suga. Va però detto, come sottolineato dal rapporto McKinsey “How Japan could reach carbon neutrality by 2050”, che il Giappone ha degli assi della manica.

Prima di tutto l’efficienza energetica, più alta di quella di altri paesi pesantemente industriali. Il Giappone, semplicemente, utilizza meno energia rispetto agli altri per produrre del valore. Non è tutto qui: sul piano dei trasporti i treni, velocissimi, offrono una buona alternativa all’uso di automobili. Non bisogna poi scordare che il ciclo di vita degli edifici giapponesi è più breve rispetto a quanto avviene in Europa, il che rende più facile imporre dei protocolli sostenibili per le nuove costruzioni.

Certo, ci sono anche degli aspetti che frenano il cammino giapponese verso la sostenibilità. Pensiamo all’attuale enorme dipendenza del paese nei confronti dei combustibili fossili, in buona parte dovuta alla scarsa inclinazione del territorio alle fonti rinnovabili.

Le acque costiere estremamente profonde ostacolano l’eolico offshore, mentre il terreno montano rende difficile trovare spazio per grandi impianti fotovoltaici o eolici onshore. Non si può inoltre scordare che nelle popolatissime metropoli di Tokyo, Osaka e Nagoya non sarà facile trovare spazio per le stazioni di ricarica del futuro. Perché il vero asso della manica giapponese passerà anche e soprattutto dal mondo dei trasporti, che funzionerà in buona parte a idrogeno.

Un Giappone a idrogeno

Oggi il Giappone conta 135 stazioni di rifornimento di idrogeno: nessun altro paese al mondo ha raggiunto questo numero. Entro il 2030 dovranno essere più di 300, per soddisfare la richiesta di 800mila veicoli a idrogeno.

Quella che si vuole costruire è infatti una società basata sullo sfruttamento dell’energia prodotta dall’idrogeno, con il paese che ha messo in moto sia il mondo della ricerca che quello della produzione per raggiungere lo scopo.

Se a Tokyo è nato un centro di ricerca specializzato ad hoc, l’anno scorso a Namie è stato inaugurato il più grande centro al mondo per la produzione di idrogeno sostenibile, per mezzo dell’elettrolisi. Una volta pienamente a regime, il centro sarà in grado di assicurare 10 megawatt di elettricità da idrogeno.

La stessa Toyota, tra le prime case automobilistiche a investire sui veicoli elettrici, sta spostando sempre più l’attenzione sui veicoli a idrogeno, una scommessa che da molti punti di vista, considerando la diffusione attuale dei veicoli elettrici, sembra quantomeno rischiosa.

L’idrogeno è quindi al centro della strategia del Giappone per raggiungere la carbon neutrality entro il 2050. Ma non sarà sufficiente per coprire l’intera decarbonizzazione del paese. Conti alla mano – come riporta un documento ministeriale – l’idrogeno non potrà riuscire a soddisfare più del 40% del fabbisogno energetico del paese (una percentuale peraltro altissima per una tecnologia pionieristica come questa).