questione dell'idroelettrico
Idroelettrico

La questione dell’idroelettrico in Italia

In queste settimane il tema dell’energia è come è noto di estrema attualità, con l’aumento dei costi dovuto in buona parte dalla guerra in Ucraina. Ma va detto che sul sistema energetico italiano ha pesato e pesa un altro fattore: il 2022 è infatti iniziato con una lunga siccità, che ha messo a dura prova la produzione di energia idroelettrica. Come sappiamo, con l’inizio di marzo solitamente inizia il progressivo sciogliersi della neve accumulata nell’arco alpino, con torrenti che vanno a ingrossare i bacini d’acqua utilizzati per la produzione di energia idroelettrica. Ma nelle regioni settentrionali, dove sono mancate precipitazioni per oltre tre mesi, e dove è concentrata gran parte delle centrali idroelettriche, la mancanza d’acqua ha compromesso la produzione di energia a pieno regime. Questo dimostra quanto il paese dipenda anche da questi impianti, e rende ancora più cruciale parlare della “questione dell’idroelettrico” in Italia: c’è chi infatti punta il dito contro i prezzi gonfiati dell’energia idroelettrica, la quale avvantaggerebbe i soli produttori a fronte di un danno per l’ambiente e per le popolazioni montante.

L’idroelettrico in Italia: una sintesi

In Italia – dati di fine 2019, secondo Terna – si contano in tutto 4.401 impianti alimentati ad acqua. Nell’ultimo decennio si è conosciuto un raddoppio del numero centrali, il quale però, a dire il vero, non ha portato a un proporzionale incremento della potenza generata. La crescita annua media nello stesso periodo è infatti stata appena dello 0,7%. Questo fenomeno si spiega con l’exploit del mini-idroelettrico: se ai primi anni del Duemila la taglia media complessiva degli impianti nazionali era di 8,4 megawatt, oggi si parla di circa 4,4 megawatt. A fine 2018, il GSE affermava che in Italia la potenza complessiva idroelettrica installata era di 18,94 gigawatt, pari al 35% delle fonti rinnovabili totali. La storia dell’idroelettrico italiano è lunga: i primi impianti sono stati costruiti a fine Ottocento, con il paese che in questo campo è stato a lungo all’avanguardia a livello mondiale. Per anni, nel Novecento, si è persino pensato che con l’idroelettrico fosse possibile raggiungere l’autosufficienza energetica per l’intero paese. Guardando all’indietro, la grande corsa all’idroelettrico in Italia è continuata fino a tutti gli anni Cinquanta, per poi rallentare per l’effettivo esaurimento delle nuovi fonti d’acqua, nonché per la perdita di prestigio conseguente al disastro del Vajont.

La questione dell’idroelettrico in Italia

Visti questi dati generali, è più facile avvicinarsi alla questione dell’idroelettrico, così come sollevata da Ezio Roppolo e Mario Agostinelli sulle pagine de Il Fatto Quotidiano. Qui si parla nello specifico della «condizione svantaggiosa cui sono sotto sottoposte le popolazioni montane che ne usufruiscono» e si sottolinea come i territori poco densamente popolati in cui trovano luogo le centrali idroelettriche «trattengano per il proprio uso solo una scarsa metà della produzione, 20-25 TWh, mentre la rimanenza viene utilizzata dal resto dell’Italia». Di più: si spiega che l’energia idroelettrica che viene consumata nelle immediate vicinanze delle centrali, quasi a chilometro zero, presenta dei costi di trasporto più bassi, pur non avendo una corrispettivo prezzo inferiore in bolletta. Dopo avere calcolato i vari costi, Roppolo e Agostinelli spiegano che «è evidente che “trasporto” e “sistema” dovrebbero costare molto meno ai montanari», per poi illustrare l’effettivo utile dei concessionari e dei produttori di energia elettrica. Si parlerebbe in questo caso di un utile del 40%, definito come un risultato «veramente fantastico, per giunta con un rischio bassissimo, intrinseco nel business che è anche tecnologicamente molto maturo». A rendere la faccenda ancora più grottesca, secondo gli autori, sarebbe poi il fatto che, negli ultimi decenni, le manutenzioni degli impianti sono state lacunose, così da aumentare il rischio di improduttività e da limitare le funzioni di regolazione del flusso, necessarie per prevenire le inondazioni. La conclusione dell’articolo pubblicato da Il Fatto è, infine, molto dura: «anche la meravigliosa capacità di trarre dall’acqua l’energia più pregiata che conosciamo senza nemmeno produrre emissioni nocive si è trasformata in un mezzo di sfruttamento indiscriminato dell’ambiente e della popolazione».