Cibo geneticamente modificato: cosa leggiamo sull'etichetta?
Cultura

Cibo geneticamente modificato: cosa leggiamo sull’etichetta?

L’eterno dibattito fra i produttori di cibi geneticamente modificati ed i loro oppositori ha subito una svolta notevole nel 2015, con l’approvazione da parte della US Food and Drug Administration del primo prodotto ittico OGM. La problematica principale relativa al cibo geneticamente modificato si lega a doppia mandata al discorso sulla salute. Lo spauracchio delle malattie che potrebbero insorgere consumando cibi OGM è sempre dietro l’angolo. Ma sarà tutto vero? Di certo è il punto chiave su cui puntano gli attivisti, che vogliono sapere con decisione quali cibi sugli scaffali sono OGM e quali no. Ma non esiste una legge, al momento, che imponga a tali prodotti una particolare dicitura sull’etichetta o nella confezione.

In Canada arriva il salmone OGM

4,5 tonnellate circa di salmone modificato geneticamente sono state immesse nel mercato canadese di recente. Si tratta di un pesce creato in laboratorio inserendo un particolare codice genetico in uova di salmone fecondate. In pratica, viene aggiunto il DNA di una precisa specie di pesce gatto, dotato di proteine anticongelamento nel sangue, elemento che rende il salmone più resistente. Il pesce, venduto dall’azienda statunitense AquaBounty Technologies, è stato acquistato da ristoranti e supermercati canadesi ma lo Stato non impone al produttore nessun tipo di etichetta per identificarlo come OGM. Di conseguenza, i consumatori non hanno modo di sapere cosa stanno mangiando. Per quanto il salmone, prima di essere messo in vendita, sia stato considerato a tutti gli effetti sicuro, permangono forti dubbi. Al di là del discorso sulla salute, parte della clientela vorrebbe poter avere la possibilità di scegliere fra un cibo geneticamente modificato ed uno che non lo è, condizione che si può mettere in atto solo segnalando gli OGM con apposite etichette nelle confezioni.

 

Il differente approccio delle mele Arctic

Sviluppate da Okanagan Specialty Fruits, un’azienda specializzata in cibo geneticamente modificato, le mele Arctic si conservano per periodi lunghissimi. Prive di ammaccature esterne, sono state progettate appositamente per non scurirsi all’interno, fenomeno che avviene naturalmente se non le consumiamo a stretto giro e che le rende certamente meno appetibili. Neal Carter, presidente dell’azienda ha spiegato che per evitare il processo di ossidazione che determina lo scurirsi della polpa, è stato eliminato alla radice l’enzima che la scatena. Il risultato sono mele sempre sane all’aspetto che possono resistere anche un mese sugli scaffali di un supermercato. L’idea di Carter è di metterle in commercio già tagliate e imbustate. Il packaging metterebbe in evidenza la polpa e quindi la caratteristica principale del prodotto. Nella busta non verrà esplicitamente indicato che si tratta di un alimento OGM ma sarà presente un QR-Code che porterà il cliente sul sito dell’azienda, mostrando la natura del prodotto e come viene realizzato. Rispetto all’approccio visto con il salmone, siamo un passo avanti. Per quanto non venga dichiarato esplicitamente nella confezione, al consumatore è data la possibilità di capire che sta acquistando un cibo OGM.

Cibo geneticamente modificato contro gli sprechi

Se un prodotto non presenta rischi per l’uomo, perché doverlo contrassegnare come OGM? È questo che pensa David Zilberman, professore di Agricultural and Resource Economics all’Università della California. E fa anche un confronto con le sigarette, i cui pacchetti presentano enormi etichette che ne segnalano la pericolosità. Ma i prodotti OGM, secondo Zilberman, non sono sigarette e non sono minimamente paragonabili. E, quindi, per quale motivo contrassegnarli? Al di là del discorso sulla salute, è cosa certa che gli OGM possano dare un contributo notevole contro gli sprechi. Prendiamo il caso delle mele. Innanzitutto, essendo prodotte in laboratorio, le quantità possono essere decise sulla base di una richiesta effettiva, limitando così il prodotto che rimane invenduto. Inoltre, potendo resistere per tempi molto più lunghi senza perdere l’appetibile aspetto originario, mentre le altre mele marciscono e vengono gettate via, queste possono intercettare ancora l’interesse del consumatore.

 

Gli OGM in Italia: il punto della situazione

Mentre negli Stati Uniti ed in Canada il cibo geneticamente modificato si sta diffondendo con decisione, la situazione in Italia è molto diversa. Probabilmente legata a motivi culturali e culinari, la tendenza a considerare i prodotti OGM come dannosi o, comunque, meno buoni, è largamente diffusa. Le monocolture geneticamente modificate appaiono come un appiattimento del ricco patrimonio enogastronomico del nostro paese che, invece, ha scelto di preservare la biodiversità del proprio territorio e dei frutti che produce. È un po’ tutta l’Europa a pensarla così, tanto che solo 5 Stati su 28 hanno deciso di coltivare e vendere prodotti OGM. Fra questi la Spagna è decisamente il primo. Basti pensare che sui 148.000 ettari dedicati in Europa alla coltivazione di mais geneticamente modificato, ben 136.000 sono proprio nella penisola iberica.