Cambiamento climatico

CO2: in Islanda il primo impianto negative emission

Che l’Islanda sia una miniera d’oro per l’energia geotermica si sapeva ma quello che è stato realizzato ad Hellisheidi è qualcosa senza precedenti: è un impianto “negative emission“. Si tratta di una centrale che produce energia non solo senza emettere CO2 ma con saldo negativo di emissioni. Una meraviglia tecnologica che dimostra quanto sia importante applicare le tecniche di geoingegneria nella lotta contro i cambiamenti climatici.

 

Cosa significa negative emission?

Produciamo 40 trilioni di Kg di CO2 ogni anno. L’impegno preso dai leader di tutto il mondo durante la Cop21 di Parigi è chiaro: Se vogliamo salvare la terra dagli effetti devastanti dei cambiamenti climatici, è fondamentale mantenere l’aumento di temperatura sotto i 2°C rispetto all’era pre-industrializzata. Se continuiamo a produrre energia nel modo in cui lo stiamo facendo, gli effetti dei cambiamenti climatici non potranno che aumentare. Recenti studi dimostrano che i piani nazionali presentati a Parigi non sono sufficienti a mitigare il global warming, presto raggiungeremo il così detto “carbon budget”, la quota massima di emissioni climalteranti ammissibile per rimanere sotto l’aumento dei due gradi. Oltre quel limite saremo costretti non solo a non emettere più gas serra ma dovremo eliminare la CO2 presente in atmosfera. Su questo principio si basa l’impianto islandese: preleva CO2 dall’atmosfera e la immette nel sottosuolo realizzando, o meglio contabilizzando, “negative emission”.

negative emission scheme

Il progetto CarbFix2 applicato alla geotermia

L’impianto geotermico di Hellisheidi ha sposato con successo il progetto CarbFix2, finanziato con fondi dell’Unione europea nell’ambito del programma di ricerca e innovazione Horizon 2020. Il merito di questo successo va a Climeworks, una società che da anni porta avanti ricerche importanti su come catturare e stoccare la CO2 in eccesso in atmosfera. Il loro obiettivo è di catturare l’1% delle emissioni globali entro il 2025 e sicuramente l’impianto islandese, frutto dei loro anni di ricerca, si muove nella direzione giusta. Cuore del progetto è il DAC, Direct Air Capture, un dispositivo particolare in grado di aspirare l’aria circostante e trattenere l’anidride carbonica in essa contenuta grazie ad un particolare filtro. L’impianto di Hellisheidi ha una parete intera composta da questi “aspiratori” che filtrano aria e nel momento in cui i filtri sono saturi di CO2, vengono riscaldati dagli scarichi della centrale. Il calore raggiunge temperature tali che l’anidride carbonica si stacca dal filtro, viene mescolata con acqua e successivamente iniettata nel sottosuolo. Grazie all’azione combinati di questi due sistemi la centrale di Hellisheidi può vantarsi di essere “negative emission”.

Lo stoccaggio della CO2 nel sottosuolo

Il mix di acqua e CO2 raggiunge una profondità di circa 700 metri dove incontra uno strato di roccia basaltica e, per mezzo di una reazione chimica, reagisce trasformandosi in minerali carbonati. Fino a qualche tempo fa si pensava che il processo di mineralizzazione avesse una durata lunghissima, tra centinaia e migliaia di anni, ma il team di ricerca CarbFix2 con enorme sorpresa ha scoperto che questo processo dura meno di due anni. Juerg Matter, capo del progetto afferma: “I nostri risultati dimostrano che una percentuale tra il 95 e il 98% della CO2 iniettata nel sottosuolo mineralizza in un periodo di tempo inferiore a due anni, un processo velocissimo rispetto alle stime precedenti”.

Il processo di stoccaggio della CO2 nel sottosuolo è stata fonte di pareri contrastanti negli ultimi anni; nel 2015 uno studio del MIT ha affermato che le tecniche di allora non solo erano molto costose, ma rappresentavano un rischio per l’ambiente. Senza un posto ben preciso dove stoccare il biossido di carbonio e senza un metodo sicuro quale utilità potevano avere le tecniche di cattura della CO2? Il rischio è che il gas poteva disperdersi in atmosfera. Fortunatamente la centrale “negative emission” di Hellisheidi smentisce queste ipotesi e dimostra che le tecniche sono ormai mature, oltre che ecologicamente sicure, per essere adottate su larga scala. Christoph Gebald, CEO di Climeworks afferma entusiasta: “Le potenzialità della nostra tecnologia combinata con lo stoccaggio della CO2, sono enormi. Non solo in Islanda ma in moltissime altre regioni del mondo dove nel sottosuolo ci sono conformazioni rocciose simili”.

modulo DAC (foto: Climeworks / Zev Starr-Tambor)

La tecniche di geoingegneria possono risolvere il problema dei cambiamenti climatici?

Le tecniche di geoingegneria ed in particolare quelle che possono creare “negative emission” hanno dimostrato nel tempo che possono contribuire concretamente alla lotta ai cambiamenti climatici. Secondo lo studio del National Center for Atmospheric Research (NCAR) tra il 2080 e il 2090 dovremo iniziare a rimuovere una quantità di CO2 dall’atmosfera variabile fra 5 e 10 miliardi di tonnellate/annue per stoccarle nel sottosuolo, negli oceani o sul terreno. Il limite delle attuali tecnologie è rappresentato dai costi; nella centrale di Hellisheidi stoccare la CO2 nel sottosuolo ha un costo di circa 30 $ a tonnellata, quello che pesa ancora molto è il processo di aspirazione dell’aria che, se dovesse scendere sotto i 100 $ per ciclo (obiettivo dichiarato dai creatori della tecnologia), la renderebbe adottabile su larga scala. La centrale islandese è l’esempio di come la tecnologia e la ricerca continuano a fare passi da gigante e la diminuzione dei costi di queste tecniche innovative ne aumenterà la diffusione su larga scala, contribuendo finalmente ad abbattere i livelli di CO2 in atmosfera.