soia deforestazione del Gran Chaco
Agricoltura

Dietro carne e latte italiani si nasconde la deforestazione del Gran Chaco, in Argentina

Il Gran Chaco è l’ecosistema argentino più ricco di biodiversità. Si tratta del secondo sistema forestale più grande del Sud America, dopo l’Amazzonia. Guardando alle sole foreste secche, si tratta dell’area più grande e importante del pianeta. Nel Gran Chaco vivono oltre 3.400 specie di piante diverse, 150 specie di mammiferi, 500 specie di uccelli, oltre 200 specie di anfibi e di rettili. Tra queste specie animali alcune sono assolutamente uniche e a rischio di estinzione, come l’armadillo carreta, il giaguaro e il chimilero pecari, un cinghiale che potrebbe scomparire del tutto tra 6 generazioni. Cosa sta minacciando questo enorme ecosistema? A metterlo sempre più a repentaglio è la deforestazione a scopi agricoli, quasi totalmente guidata dalla coltivazione della farina di soia. E anche gli italiani finiscono per essere responsabili di quello che viene definito come un “ecocidio”: va infatti sottolineato che la farina di soia è un ingrediente centrale nella dieta degli allevamenti italiani, e che il nostro paese importa metà del proprio fabbisogno. E il 77% dell’import di farina di soia arriva proprio dall’Argentina, così da contribuire in modo pesante alla deforestazione del Gran Chaco. E non è tutto qui: a peggiorare ulteriormente la situazione vi è il fatto che in Argentina la soia viene prodotta unicamente a partire da sementi geneticamente modificate.

La deforestazione del Gran Chaco dietro alla carne italiana

A fare luce sul business della farina di soia è un report realizzato da 4 ong, ovvero da Periodistas por el planeta, da Madre Brava, daSomos Monte e dalla ong italiana Fairwatch. Lo studio è stato intitolato “Soia – La via dell’ecocidio”, a sottolineare come la deforestazione del Gran Chaco stia portando a un’enorme distruzione consapevole di un ambiente naturale, con tutte le conseguenze terribili che questa comporta. Dati alla mano, la produzione della farina di soia avrebbe già portato alla distruzione di 14 milioni di ettari di foresta, una superficie che già di per sé è più grande di tutta la superficie italiana dedicata all’agricoltura. Che gli allevamenti privilegino la soia nell’alimentazione del bestiame non è una novità: si tratta infatti di un seme oleoso altamente proteico, che viene utilizzato sia per alimentare le vacche da latte, sia per nutrire gli animali destinati al macello, dal pollame ai maiali. La soia transgenica è insomma una colonna portante del settore: gran parte di essa arriva nei porti italiani per poi essere frantumata e mescolata con altri ingredienti, per produrre i mangimi utilizzati dagli allevatori. Anche per questo alimento, quindi, si ripete quanto già detto altrove per esempio per l’olio di palma.

Come porre fine all’ecocidio

Le conseguenze della deforestazione del Gran Chaco per la produzione di soia transgenica sono diverse. Si pensi per esempio al continuo ed enorme rilascio di anidride carbonica nell’atmosfera, in una foresta che grazie ai suoi alberi secolari può contribuire al contrario all’assorbimento di grandiose quantità di CO2.

Esiste già, in effetti, una proposta di normativa UE che potrebbe frenare in modo netto l’importazione di prodotti agricoli strettamente legati alla deforestazione a livello mondiale. Si parla di una norma avanzata nel novembre del 2021, la quale potrebbe essere, spiegano le ong, «la più severa del suo genere al mondo» in quanto richiederebbe «alle imprese che commerciano materie prime destinate all’Europa, e alle società che le immettono nel mercato comune, di dimostrare che tali merci non sono state prodotte su terreni recentemente deforestati». Ci sono però due problemi. Da una parte, i limiti temporali che stabiliscono quali foreste devono essere protette e quali no: dovrebbero risultare protette solamente le foreste devastate di recente o anche quelle che sono state distrutte anni fa? Dall’altra, sottolineano le ong, c’è il problema della mancanza di tutela per le diverse tipologie di ecosistemi. La proposta UE gira infatti intorno alla definizione FAO di “foresta”, laddove le ragioni tropicali messe a rischio dalle deforestazione nei Tropici sono spesso ecosistemi complessi che non rientrano in questa definizione.