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Ambiente

L’espansione dei parchi? Non basta per proteggere la natura

In Italia si contano complessivamente 15.000 chilometri quadrati di parchi naturali nazionali, ovvero circa il 6% dell’intera superficie nazionale. I più estesi sono i parchi del Cilento, del Pollino, del Gran Sasso e dello Stelvio; oltre a questi, va, detto, devono essere presi in considerazione anche i tanti parchi regionali e provinciali, nonché le varie aree protette e le riserve. Grazie a tutte queste aree, istituite a partire dagli anni Venti del secolo scorso, l’Italia è tra i paesi europei con una superficie più grande di riserve protette. Ma l’espansione dei parchi naturali è sufficiente per proteggere la biodiversità? Come sottolineato dalla bozza dell’accordo per la UN Convention on Biological Diversity (CBD), firmata da oltre 50 scienziati di primo piano, la risposta è no.

In attesa della Cop15 di Kunming

La bozza presentata dagli scienziati della CBD è un importante documento in attesa della più volte rimandata UN Biodiversity Conference (COP-15) di Kunming, la quale avrebbe dovuto svolgersi nel 2020. Questa doveva essere il più grande summit internazionale del decennio dedicato alla biodiversità, e avrebbe dovuto portare a un accordo in stile parigino, e quindi simile a quello della famosa Cop25 di Parigi. Per ora, però, sono stati tenuti solamente degli incontri preliminari da remoto – nell’ottobre del 2021 – rimandando più avanti il summit vero e proprio. Nel frattempo, per l’appunto, il board di scienziati ha presentato un documento preparatorio, utile per i leader mondiali che devono impostare una strategia comune per proteggere la biodiversità.

L’espansione dei parchi naturali non è sufficiente per proteggere la biodiversità

Istituire delle riserve naturali protette, in cui l’uomo non può intaccare l’habitat di animali e piante, sembra un’ottimo modo per preservare la natura. Come ha sottolineato però sulle pagine del Guardian il professore Paul Leadley, della Paris-Saclay University nonché coautore dello studio già citato, «l’obiettivo di proteggere il 30% di tutto il suolo e di tutti i mari» ovvero uno degli obiettivi previsti per la Cop-15 «è importante, e attrae parecchia attenzione. L’espansione dei parchi e delle aree protette è certamente un buon inizio, ma è insufficiente per fermare e invertire la perdita di biodiversità». Gli scienziati hanno valutato tre possibili scenari futuri, prendendo in considerazione un mondo senza cambiamenti a livello di inquinamento, un mondo con dei miglioramenti in fatto di qualità e di quantità delle tecnologie conservative e infine un mondo con un cambiamento trasformativo della società. Solamente in questo ultimo scenario – e a patto di mantenere il surriscaldamento globale al di sotto di 1.5 gradi rispetto all’epoca preindustriale – risulterebbe possibile arrestare e invertire la perdita di biodiversità. Come ha spiegato María Cecilia Londoño Murcia, ricercatrice presso la Humboldt Institute in Colombia e coautrice dello studio, «prima inizieremo ad agire, meglio sarà. Il ritardo tra l’azione e i risultati positivi per la biodiversità può essere di decenni, e per questo dobbiamo agire immediatamente se desideriamo raggiungere gli obiettivi globali entro il 2050».

I 21 obiettivi che dovranno essere negoziati a Kunming

Per fermare la perdita di biodiversità è quindi necessario fare di più che impegnarsi nell’espansione dei parchi naturali. Gli scienziati hanno individuato tra le azioni prioritarie la riduzione dei sussidi per l’agricoltura e per la pesca che si rivelano dannosi, il mantenimento del surriscaldamento sotto la soglia di 1,5 gradi centigradi, nonché la riduzione del consumo di carne da parte dell’uomo. In tutto i target individuati dal board per essere negoziati a Kunming sono 21, per ridurre i danni alla biodiversità e per soddisfare i bisogni delle persone in modo sostenibile. Ora non resta che attendere la Cop-15 di Kunming, che dovrebbe tenersi tra marzo e aprile 2022.