costo ambientale dei vestiti
Riciclo creativo

H&M a caccia di idee concrete per ridurre il costo ambientale dei vestiti

Quale è il costo ambientale dei vestiti? Quali le ripercussioni sull’ambiente? Quali risorse servono per confezionare una t-shirt o un semplice paio di jeans?

Occorrono 9500 litri d’acqua per produrre un solo paio di jeans, per non parlare delle sostanze chimiche contenute nelle 15 vasche di tintura in cui ogni capo deve rimanere immerso.
Quello dei vestiti è spesso un mercato caratterizzato da uno sfruttamento incontrollato di risorse naturali per la realizzare indumenti caratterizzati da un brevissimo ciclo di vita: anni, mesi o addirittura settimane.

Con il boom degli abiti a basso costo il problema è ovviamente duplicato: una combinazione deleteria tra lavoro sfruttato nei paesi poveri, inquinamento ambientale e presenza di sostanze chimiche nelle fibre dei tessuti che indossiamo ogni giorno.

Troppe sono le ripercussioni negative considerando che il tasso di riciclaggio degli indumenti si aggira attorno allo 0,1%.

costo ambientale dei vestiti
Effetti dell’industria dei jeans sulle acque, Indonesia

Certo non è raro trovare la “campana” per la raccolta degli abiti usati nelle nostre città, quasi l’80% dei comuni infatti li raccoglie separatamente.
Ma che fine fanno? In Italia vengono quasi completamente esportati in altri paesi, soprattutto nel Nord Africa.

H&M per l’economia circolare

Ci sono però veri colossi dell’abbigliamento che provano a cambiare la situazione: H&M ha iniziato la sua crociata contro la produzione “da zero” dei propri capi per ridurre il gravoso costo ambientale dei vestiti.

Il primo passo intrapreso dalla multinazionale è stato il ritiro degli abiti usati direttamente in negozio: un buono da 5 euro per ogni sacchetto di vestiti vecchi. Non è importante né la marca né lo stato di usura dei capi.

Cosa succede a questi vecchi abiti? Vengono smistati a seconda della tipologia: alcuni possono essere rivenduti su altri mercati, altri diverranno materiale isolante o combustibile per creare energia.
Il 20% delle fibre macerate torneranno però ad H&M per confezionare nuovi abiti; in questo modo si immetteranno nel ciclo produttivo oltre 3.000 tonnellate di potenziali rifiuti.

Ma H&M non vuole limitarsi ad un 20% di fibre ricicliate. Vuole diventare in tutto e per tutto circolare prolungando la vita dei prodotti per poi rimetterli in circolo sotto altre forme. Rientrare in possesso del prodotto venduto in precedenza: un modello vincente di risparmio e trattamento dei rifiuti che sempre più aziende stanno adottando.

“Passare alla piena circolarità sarà la chiave del nostro futuro successo. Per realizzare questo cambiamento sistemico per l’industria tessile dobbiamo accelerare le innovazioni circolari e abbiamo bisogno di collaborazione all’interno e tra le industrie. In H&M abbiamo impostato una visione per diventare circolari al 100%, il che significa che avremo un approccio circolare al modo in cui i prodotti sono realizzati e utilizzati coprendo l’intera catena del valore dalla progettazione all’espansione della durata dei nostri prodotti attraverso diversi modi di prolungare l’uso e il riciclaggio” Cecilia Strömblad Brännsten, Circular Economy Lead per H&M.

Global Change Award 2018 contro il costo ambientale dei vestiti

Proprio per questo motivo il colosso dell’abbigliamento ha un riflettore puntato sulla propria fondazione non profit, l’H&M Foundation.
L’H&M Foundation ha avviato la ricerca di nuovi modi di concepire il mercato tessile sia per ridurre il costo ambientale dei vestiti che per perseguire l’intento di creare un business sostenibile.

Questa caccia all’idea avviene attraverso il Global Change Award, concorso giunto alla sua terza edizione.
Si cercano nuovi orizzonti circolari per organizzare le industrie e nuove tecnologie per trasformare i materiali. Il premio? 1 milione di euro divisi tra i cinque finalisti del concorso. Una giuria severa e competente tra cui spicca il nome di Ellen MacArthur.

Gli anni scorsi la fantasia applicata all’economia circolare si è sbizzarrita facendo pervenire 2.700 idee da 112 Paesi: fibre dagli scarti di arance ed uva, nylon creato dalla sola sinergia acqua-sole, biomasse che rimpiazzano i derivati del petrolio.

Tutte queste imprese sono però solo all’inizio e l’H&M Foundation ha l’obiettivo di portarle alla luce per far sì che crescano velocemente rivoluzionando in modo creativo il modo di concepire, produrre e smaltire i vestiti.
Seppur in scala ridotta anche l’Italia sta spronando i giovani imprenditori ad accostarsi al modello circolare raccontandone le loro avvincenti storie e idee illuminanti.

Investimenti e nuove collaborazioni vincenti

Per ridurre il costo ambientale dei vestiti servono soprattutto nuove tecnologie di riciclaggio dei tessuti e l’H&M Foundation sta instaurando diverse collaborazioni con diversi enti di ricerca. Ecco quindi la macerazione di tessuti misti composti da cotone e viscosa che permette di creare indumenti nuovi con fibre robuste, resistenti ed elastiche. Da un rifiuto un tessuto ancora più performante.

Con l’Hong Kong Research Institute of Textiles and Apparel H&M sta progettando una tecnologia in grado di separare il cotone dal poliestere senza che i materiali subiscano danni. Questa innovazione non verrà tenuta segreta: la licenza sarà liberamente acquistabile.
Con Danone e Ellen MacArthur Foundation il colosso dell’abbigliamento raccoglie bottiglie di plastica in Indonesia per trasformarle in tessuti sintetici.

Perché non cercare nei negozi questi prodotti che fanno bene all’ambiente? Sono già tra noi!  Nel futuro potremmo avere mari puliti e giacche, calze e t-shirt tecniche fatte con tessuti provenienti da materiali 100% riciclati.