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Cultura

Il problema dell’over-packaging nell’alimentare e il buon esempio di Tesco

Cosa troviamo quando entriamo in un normale supermercato e ci mettiamo a girare tra i vari reparti, tra scaffali e frigoriferi, tra banconi e congelatori? Ebbene, prima di tutto e soprattutto, troviamo plastica. Il barattolo dello yogurt, la bottiglia dell’acqua, la confezione dell’insalata pronta, la pellicola che avvolge la frutta, la confezione della carne e via dicendo.

Che vi sia un utilizzo eccessivo di plastica è certo, con delle vette di over-packaging che raggiungono a volte dei livelli assolutamente privi di senso.

Nei nostri supermercati non si vedono ancora le confezioni di mandarini a spicchi che si possono trovare in certi negozi statunitensi, per fortuna no. Ma sono spuntate qui e lì delle soluzioni altrettanto assurde, come per esempio le uova “salvatempo”, cotte, sbucciate, e avvolte in confezioni di plastica.

Di fronte a degli esempi di sovra-imballaggio come questi, non si può fare altro che domandarsi quale sia la reale funzione dell’imballaggio, e quale sia il limite da non superare.

Plastica e over-packaging

Uno studio realizzato tre anni fa da Zero Waste Europe e Friends of the Earth per Rethink Plastic, intitolato “Unwrapped” ci dice che in Europa c’è un fabbisogno annuo di 49 milioni di tonnellate di plastica. Di queste, il 40% circa viene utilizzato per realizzare soluzioni di packaging, in larga parte monouso.

E sta proprio qui il problema: circa il 95% del valore del packaging si volatilizza dopo il primo impiego. Conoscere questi dati è fondamentale, perché il rischio è quello di combattere delle battaglie sbagliate. Il nemico, di per sé, non è infatti la plastica, che è un materiale che può risultare effettivamente prezioso in determinate – e persino eccezionali – occasioni. Il problema è il modo in cui usiamo la plastica, in particolare nel packaging.

Quest’ultimo come sappiamo è fondamentale, soprattutto nel mondo alimentare, per fare in modo che i prodotti vengano protetti, per ritardare il deterioramento. Diventa quindi fondamentale trovare la soglia ideale, che permette di proteggere gli alimenti riducendo al minimo l’impatto ambientale.

Non è affatto impossibile. Tesco, una nota catena di negozi alimentari di origine britannica diffusa a livello globale, ha per esempio adottato una nuova strategia per eliminare il più possibile la plastica dai propri negozi a partire dal 2019.

Lotta all’over-packaging: l’esempio di Tesco

Tesco conta quasi 7mila punti di vendita nel mondo, dal Regno Unito alla Cina, dalla Polonia agli Stati Uniti, dalla Turchia al Giappone. A fine 2019 la società ha deciso di mettere in atto una serie di iniziative di stampo ambientalista, con l’obiettivo preciso di rimuovere 1 miliardo di pezzi di plastica dai negozi britannici entro la fine del 2020.

Come si è mossa la catena di supermercati per raggiungere questo obiettivo? La strategia può essere sintetizzata con lo slogan “rimuovere, ridurre, riutilizzare e riciclare”.

Prima di tutto si è quindi iniziato a rimuovere la plastica. Via le confezioni plastiche dai pasti pronti, via i sacchetti di plastica per frutta, per verdura e per prodotti da forno. Via le forchette e le cannucce di plastica presenti nelle varie confezioni alimentari. E via anche i tipici coperchi secondari in plastica che si trovano su prodotti come lo yogurt.

La plastica è poi stata eliminata da tutte le soluzioni di packaging per vestiti e biglietti di auguri. In questo modo, Tesco ha rimosso tutti gli imballaggi in plastica non strettamente necessari. E per gli altri? Da una parte, Tesco si è impegnata per collaborare con i fornitori al fine di ridurre al minimo il packaging; dall’altra, si è impegnata per facilitare il riutilizzo e il riciclo di questo materiale.

Un’iniziativa simile a quella di Tesco era stata lanciata – sempre nel 2019 – anche da Unilever, che si è posta invece l’obiettivo di dimezzare l’utilizzo di plastica vergine entro il 2025.