negazionisti dei cambiamenti climatici
Cambiamento climatico

Sempre meno negazionisti dei cambiamenti climatici negli Stati Uniti

Per quali motivi si diventa negazionisti dei cambiamenti climatici? In effetti, a fronte di una comunità scientifica compatta nel sottolineare l’esistenza del climate change e l’origine antropica delle emissioni di gas a effetto serra che hanno portato a questi drammatici cambiamenti, la domanda sorge spontanea. Come mai, di fronte a delle evidenze scientifiche, molte persone si ostinano a negare l’ovvio? Uno studio pubblicato di recente sulla rivista Nature Climate Change ha cercato di dare una risposta. Per lungo tempo si è per esempio creduto che i negazionisti dei cambiamenti climatici fossero spinti da desiderio di continuare a comportarsi come se nulla fosse, senza quindi smettere di inquinare, senza apportare mutamenti e tanto meno sacrifici nella propria vita quotidiana. Insomma, da questo punto di vista il negazionismo climatico sarebbe figlio di un autoinganno, per vivere con meno problemi e meno sensi di colpa, autoconvincendosi che l’uomo non abbia fatto in realtà nulla di male. Ebbene, un test effettuato dalla University of Boston su 4.000 adulti ha dimostrato che in realtà non c’è nessun autoinganno, e che si tratta invece soprattutto del frutto di un’identità politica e di pensiero ben definita. Ma quanti sono effettivamente i negazionisti dei cambiamenti climatici al giorno d’oggi? Stanno diminuendo?

Negli Stati Uniti i negazionisti dei cambiamenti climatici stanno diminuendo

In vista delle prossime elezioni presidenziali, lo Yale Program on Climate Change Communication ha voluto tastare il terreno per capire quale sia la posizione degli statunitensi nei confronti del climate change, confrontando i dati attuali con quelli rilevati nel 2010. Ebbene, si può affermare con un certo sollievo che il numero dei negazionisti dei cambiamenti climatici, negli ultimi anni, è andato via vai diminuendo, perlomeno negli States. Nel Texas e nel North Carolina, per esempio, nel 2010 solamente il 60% delle persone dichiarava che i cambiamenti climatici erano in corso, fetta che nell’ultima indagine è stata invece del 72%. In Indiana, per fare un altro esempio, si è passati dal 55% del 2010 al 65% nel 2023. Il negazionismo climatico è mediamente diminuito, anche in quegli Stati in cui i Repubblicani non temono assolutamente di perdere il controllo a favore dei Democratici. Di certo però la situazione non è delle migliori, nemmeno dopo questa lenta accettazione del climate changhe: solamente il 58% degli statunitensi è infatti pronto ad affermare che i cambiamenti climatici sono il risultato di attività umane come l’utilizzo dei combustibili fossili.

Uno studio del Pew Resarch Center, realizzato durante l’anno scorso, ha dimostrato che circa due terzi degli americani sono favorevoli a dare priorità allo sviluppo di energie rinnovabili, pur sottolineando anche la riluttanza dei cittadini statunitensi nell’abbandonare i combustibili fossili; e ancora, un recente studio della University of Colorado Boulder ha dimostrato che per circa due terzi degli statunitensi il cambiamento climatico è una priorità. È interessante poi sapere che, del 67% degli statunitensi che afferma di essere preoccupato per il clima, il 77% ha votato per Joe Biden nel 2020.

Il negazionismo climatico in Italia

A questo punto sembra interessante ricordare quali sono le stime dei negazionisti dei cambiamenti climatici in Italia. Non ci sono studi esaurienti dedicati a questo tema, ma alcuni lavori aiutano a farsi un’idea della situazione. Per esempio, un’indagine di Greenpeace svolta tra la primavera e l’estate del 2023 – quando il Paese era travolto da massicce ondate di calore, e poco dopo le alluvioni dell’Emilia-Romagna – ha rilevato  che i quotidiani italiani pubblicavano in media 3,3 articoli al giorno con degli accenni alla crisi climatica; il 18% degli articoli, però diffondeva argomenti apertamente negazionisti, oppure in opposizione alle attività necessarie per fermare il cambiamenti climatici. Questo probabilmente perché – come sottolineato da Greenpeace – buona parte dei media in Italia sopravvive grazie a finanziamenti provenienti dall’industria che utilizza i fossili, da Eni in poi.