Rischio di catastrofi: l’Onu riporta che metà dei paesi non è protetta
Nella sola prima metà del 2022, le catastrofi naturali hanno causato 4.300 morti nel mondo. Un dato che, come sottolinea Munich Re in uno studio dedicato, è in aumento rispetto agli anni precedenti. Guardando al lato economico, si parlerebbe di danni per 65 miliardi di dollari, gran parte dei quali risucchiati dagli eventi che hanno sconvolto gli Stati Uniti, nonché dalle inondazioni australiane. Ma guardando al di là del primo semestre sarebbero da mettere in conto anche la siccità che ha colpito l’Europa, nonché il disastro climatico che ha recentemente colpito il Pakistan, causando 1.200 vittime. A rendere ancora più cupo lo scenario c’è un recente rapporto Onu, il quale dimostra che metà dei paesi a livello globale non è protetta da appositi sistemi di allerte precoce per il rischio di catastrofi.
Il rapporto Onu sul rischio di catastrofi e le relative allerte
Il rapporto in questione è il “Global Status of Multi-Hazard Early Warning Systems – Target G”, elaborato dalle Nazioni Unite e reso pubblico in occasione della Giornata internazionale per la riduzione del rischio di disastro, il 13 ottobre. Lo studio dice che solo una metà dei paesi potrebbe vantare dei sistemi di allerta precoce contro le catastrofi. E la differenza tra le due metà è notevole: come si legge nello studio, «i paesi con una copertura di allerta precoce limitata hanno una mortalità per catastrofi otto volte superiore rispetto ai paesi con una copertura da sostanziale a completa». Si parla di sistemi in grado di preannunciare l’arrivo di pericoli imminenti quali ondate di caldo, tsunami, tempeste e siccità, così da poter ridurre in modo considerevole i danni a persone e a cose.
A essere sguarniti di sistemi in grado di dare delle allerte sono soprattutto i paesi meno sviluppati e i piccoli stati insulari in via di sviluppo. Nella consapevolezza che i cambiamenti climatici stanno causando e causeranno un numero sempre più alto di catastrofi e di eventi estremi, l’Onu sottolinea che «gli investimenti in sistemi di allerta precoce relativi a molteplici rischi sono più urgenti che mai». Va peraltro sottolineato il fatto che in un sistema di protezione non si deve concentrare l’attenzione unicamente sugli eventi in sé, quanto invece anche su quello che viene dopo l’impatto iniziale: si parla dei focolai di malattie dopo le precipitazioni abbondanti oppure, per fare un altro esempio, della liquefazione del suolo dopo i sismi.
Come ha sottolineato Petteri Taalas, segretario generale del Wmo, «il numero di disastri registrati è aumentato di cinque volte, guidato in parte dal cambiamento climatico indotto dall’uomo e da condizioni meteorologiche più estreme» per poi precisare che «questa tendenza dovrebbe continuare. I sistemi di allerta precoce sono una misura di adattamento climatico collaudata ed efficace, che salva vite e denaro».
Le richieste dell’Onu
L’Onu afferma in modo chiaro che, a livello globale, non si sta investendo a sufficienza nella protezione delle vite e dei messi di sussistenza di chi è più vulnerabile al rischio di catastrofi. E quel che è peggio, come afferma il segretario generale dell’Onu António Guterres, è che «chi ha fatto di meno per causare la crisi climatica sta pagando il prezzo più alto». È infatti proprio nei paesi meno sviluppati che il rischio è più alto. Per questo l’Onu ha chiesto all’Organizzazione mondiale della meteorologia (WMO) di mettersi alla guida di un processo capace di assicurare a ogni abitante della Terra un sistema di preallerta precoce entro i prossimi 5 anni.
Il prossimo passo in questa direzione dovrebbe essere fatto in novembre, in occasione della Cop27 in Egitto: in quell’occasione la Wmo presenterà un piano di azione per incrementare la copertura internazionale dei sistemi di preallerta contro il rischio di catastrofi.
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