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Animali

In 50 anni distrutto il 69% della fauna selvatica

La perdita della biodiversità, in buona parte collegata ai cambiamenti climatici ma non dipendente unicamente da questi ultimi, è un grave problema che affligge la nostra epoca. Anche perché i numeri sono disastrosi. E a dimostrarlo con forza è un nuovo report del Wwf, il quale ci dice che a partire dal 1970 le popolazioni di vertebrati sono calate in media del 69%. Si parla di mammiferi, di uccelli, di anfibi, di rettili e anche di pesci. E in alcune aree del mondo la situazione è di gran lunga peggiore: in America Latina e nei Caraibi si toccano infatti punte del 94% nella perdita della fauna selvatica. Per questo motivo, in vista della vicina COP15 di dicembre, il Wwf ha deciso di lanciare l’allarme, chiedendo un ambizioso accordo da parte degli stati partecipanti per bloccare la perdita di biodiversità e per invertire il senso di marcia.

Lo studio del Wwf sulla perdita della fauna selvatica

Lo studio in questione è il Living Planet Report del 2022, il quale parte da un campione esaminato immenso. Si parla di quasi 32.000 diverse popolazioni di animali selvatici, relative a 5.230 specie di vertebrati. I dati mostrano un velocissimo e drastico calo del numero di animali, spingendo il direttore generale del Wwf Internazionale, Marco Lambertini, a parlare di una “doppia emergenza”: da una parte il cambiamento climatico, dall’altra la perdita di biodiversità. Ma cosa sta causando l’assottigliarsi delle popolazioni di vertebrati selvatici? I motivi sono diversi, in larghissima parte legati all’attività umana. Si parla infatti dell’espansione dei terrenti dedicati all’agricoltura, dell’introduzione di specie invasive, dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento e delle malattie. Come ha sottolineato Lambertini, «il Wwf è estremamente preoccupato da questi nuovi dati che mostrano un calo devastante delle popolazioni di fauna selvatica, in particolare nelle regioni tropicali che ospitano alcune delle aree più ricche di biodiversità al mondo».

La fauna selvatica monitorata dal Wwf comprende le specie più diverse. Ci sono i delfini rosa che nuotano nel Rio delle Amazzoni, che in soli 22 anni, dal 1994 al 2016, hanno conosciuto un crollo del 65%. E ci sono i gorilla di pianura orientale, che nel Parco Nazionale di Kahuzi-Biega in Congo sono calati dell’80% circa tra il 1994 e il 2019. Guardando ai numeri del Wwf, la situazione sarebbe più grave per la fauna selvatica d’acqua dolce, con una diminuzione media dell’83%. Quel che serve è un cambiamento strutturale delle politiche, delle economie e delle abitudini. Senza di esso, come sottolinea il presidente di Wwf Italia, Luciano Di Tizio, «quasi nessuno degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU (SDGs) potrà essere raggiunto. Per invertire la perdita di natura e garantire un futuro più sicuro e sano per tutti è indispensabile dimezzare l’impronta globale di produzione e consumo entro il 2030».

La difesa della biodiversità in Europa

Difendere la flora come la fauna selvatica è una priorità. Per questo nel 2020 la Commissione Europea ha messo a punto una strategia da mettere in campo entro il 2030, che prevede per esempio la creazione di zone protette che comprendano almeno il 30% della superficie terrestre e marina dell’Unione Europea. Ma non è tutto qui, in quanto si parla anche del ripristino degli ecosistemi degradati in tutto il territorio, anche attraverso la riduzione dell’uso e del rischio dei pesticidi. Tra le azioni concrete vi sono anche l’impianto di 3 miliardi di alberi, nonché lo stanziamento di 20 miliardi di euro all’anno per la protezione e la promozione della biodiversità. Anche in Italia peraltro si può fare molto di più: troppo poco si è portato avanti, infatti, a partire dalle leggi sulle Aree Protette e sulla Protezione della fauna selvatica del 1991.