batteri rilasciati dai ghiacciai
Cambiamento climatico

Cosa succederà con i batteri rilasciati dai ghiacciai che si sciolgono?

Vari studi condotti negli ultimi anni hanno dimostrato che, nei prossimi decenni, vedremo sparire una moltitudine di ghiacciai. E questo a prescindere dalle misure che si metteranno in campo nell’immediato futuro per contenere i cambiamenti climatici, e quindi l’aumento delle temperature: è ormai certo che entro la metà del secolo i ghiacciai simbolo di un terzo dei siti protetti dall’Unesco, molto semplicemente, spariranno dalla nostra vista. Parliamo degli ultimi ghiacciai africani, come quello del Monte Kenya o del Kilimangiaro. Ma anche di quelli dell’Area protetta dei Tre Fiumi paralleli in Cina, di quelli del Mont Perdu nei Pirenei, di quelli del Parco di Yellowstone e sì, anche i ghiacciai delle nostre Dolomiti. Tutte queste enormi distese di ghiaccio, già ridotte in modo drammatico negli ultimi anni, sono destinate a sparire. Con danni enormi a livello paesaggistico, con ulteriori stravolgimenti climatici, con la riduzione della biodiversità, nonché con dei problemi per tutte quelle comunità che da sempre basano la propria sussistenza proprio sull’acqua proveniente da quelle grandissime riserve di ghiaccio. Ma non è tutto qui: uno studio ha individuato anche dei potenziali problemi relativi ai batteri rilasciati dai ghiacciai in fusione.

Dovremmo avere paura dei batteri rilasciati dai ghiacciai?

Cosa sono i ghiacciai, quelle enormi masse di ghiaccio che troviamo in cima alle nostre montagne più alte, oppure in Groenlandia, o ancora, in Antartide? Siamo abituati a pensare che lì dentro non ci sia altro che acqua ghiacciata. In realtà le cose non stanno esattamente così. Lì, in quelle masse gelide, ci sono anche migliaia di microrganismi, tra cui tantissimi batteri. Con lo scioglimento dei ghiacciai ci sarà quindi il riversamento di migliaia di tonnellate di batteri, che si diffonderanno nei torrenti, nei laghi, nei fiordi e nei mari, finendo inevitabilmente per contaminare i nuovi habitat.

Ma cosa ci dobbiamo aspettare nel concreto dai batteri rilasciati dai ghiacciai? Hanno cercato di dare risposta a questa domanda dei ricercatori dell’Università di Aberystwyth, nel Regno Unito, e dell’University Centre delle Svalbard, in Norvegia. Il loro studio, stato pubblicato su Nature Communications Earth & Environment, quantifica infatti il numero dei batteri presenti tra la superficie e le profondità dei ghiacci presenti sulla terra, partendo da analisi fatte sull’acqua di fusione di 8 ghiacciai (tra Europa e Nord America) e da due calotte di ghiaccio groenlandesi.

Di quanti e quali batteri si parla?

I ricercatori hanno stimato che entro la fine del secolo – con uno scenario di riscaldamento del pianeta moderato – verranno riversate nell’ambiente più di 100mila tonnellate di batteri. Tantissimi dovrebbero essere del tutto innocui, alcuni potrebbero persino essere utili come fertilizzanti. S ipotizza persino che alcuni batteri, tra quelli tornati in libertà, potrebbero essere sfruttati per produrre nuovi medicinali, nuovi composti farmaceutici e preziosi antibiotici. Altri, però, potrebbero essere tutt’altro che innocui, e dunque patogeni, andando a minacciare ecosistemi e delicati equilibri. C’è poi il fatto che nei prossimi 80 anni, proprio il rilascio di batteri e di alghe dai ghiacciai in fusione potrebbe consegnare ai corsi d’acqua 65mila tonnellate di carbonio, numero che peraltro riguarda il solo emisfero artico, con l’esclusione dell’enorme regione dell’Himalaya: solamente attraverso una riduzione importante delle emissioni di anidride carbonica, essenziale per ridurre il surriscaldamento globale, sarebbe possibile rallentare questo decorso.


Questo processo, per ora, sembra inesorabile: per i soli ghiacciai posizionati nei siti Patrimonio dell’Umanità, si stima una perdita annua di circa 58 miliardi di tonnellate di ghiaccio, equivalenti al consumo idrico annuale di due paesi come la Francia e la Spagna. E tutta questa acqua fusa va a riversarsi nei corsi d’acqua, finendo per essere un’ulteriore fattore che contribuisce all’aumento del livello del mare.