Crisi climatica e produzione alimentare: effetti di un fenomeno su scala mondiale
Cambiamento climatico

Crisi climatica e produzione alimentare: effetti di un fenomeno su scala mondiale

Ci può essere un legame fra un periodo di siccità in Russia e lo scoppio delle insurrezioni civili denominate Primavera Araba? È questo che si legge in un articolo apparso sul sito del Washington Post qualche giorno fa. Elizabeth Winkler, la giornalista autrice del pezzo, sostiene infatti che ci sia un collegamento fra i 2 eventi. Medio Oriente e Nord Africa sono fra le regioni più instabili del Pianeta e questo anche perché dipendono fortemente dalle importazioni di grano provenienti dal Mar Nero, particolarmente dalla Russia. A causa della grave siccità, però, il governo russo ha vietato le esportazioni di grano proprio per tutelare il proprio popolo. E così, l’aumento del prezzo del pane, in combinazione con altri fattori sociali, ha dato vita ai disordini politici che hanno preso il nome di Primavera Araba. In tal senso, crisi climatica e produzione alimentare sono fenomeni fortemente interconnessi: vediamo meglio come.

Crisi climatica e produzione alimentare: un legame su più livelli

L’estate del 2017, benché non ancora conclusa, è stata fra le più torride degli ultimi 30 anni. Le conseguenze per l’agricoltura sono evidenti, con colture indebolite dalla siccità e produzioni dimezzate. Ma il legame fra i fenomeni si presta a più livelli di lettura. Se un Paese produce poco per via della siccità, le conseguenze possono riflettersi sulla propria popolazione. Ma se entrano in crisi i massimi produttori del Pianeta, il problema diventa globale. La sicurezza alimentare, infatti, dipende per lo più da 4 grandi colture: il mais, il grano, il riso e la soia che da soli rappresentano circa il 60% del consumo energetico mondiale e la cui produzione si concentra in poche grandi aree negli Stati Uniti, in Brasile e intorno al Mar Nero.

Gli ostacoli lungo il percorso dei prodotti alimentari

Crisi climatica e produzione alimentare vanno di pari passo. Il problema, però, non è soltanto legato al calo delle quantità raccolte ma anche al percorso che gli alimenti devono svolgere per arrivare in Paesi diversi da quelli di produzione. Un recente studio del think-tank londinese Chatham House, denominato Chokepoints and Vulnerabilities in Global Food Trade, va a individuare le 14 principali criticità presenti sulle strade mondiali del cibo. Con la parola “chokepoints”, traducibile con “strozzature” o “blocchi”, si intendono proprio quelle vie di passaggio in cui il trasporto si fa più difficile. Non parliamo solo di difficoltà burocratiche nei rapporti fra gli Stati ma anche di veri e propri rallentamenti causati, ad esempio, da strade inadeguate o trasporti su rotaia estremamente lenti. Altra incognita che può influire su tutto il ciclo è l’imprevedibilità di eventi atmosferici importanti (uragani, alluvioni, terremoti) che possono tagliare di netto le comunicazioni attraverso certe vie.

Alcuni dei “chokepoints” più importanti del Pianeta

Il Canale di Panama, che collega i mercati occidentali con quelli asiatici, è uno dei punti critici più evidenti: da qui passa ogni anno il 30% delle esportazioni di mais americane e il 49% delle importazioni. Poi ci sono gli Stretti Turchi, che collegano i produttori del Mar Nero ai mercati globali – tra cui anche il Medio Oriente. Il 70% delle esportazioni di grano provenienti da Russia, Ucraina e Kazakistan passa proprio per queste acque. Anche le vie navigabili interne, le strade e le ferrovie possono essere dei “chokepoints”. Il 60% dei prodotti agricoli statunitensi viaggia su un sistema di trasporto idrico nazionale di 12.000 miglia, che comprende un’ampia rete di fiumi e affluenti. In modo simile, il 60% delle esportazioni di grano russo e ucraino si basa sulla rete ferroviaria del Mar Nero. Considerato il più instabile fra i 14 “chokepoints”, la viabilità di quest’ultima struttura è, infatti, resa difficile dai conflitti con la Crimea, dalle tensioni diplomatiche con Siria e Yemen e dalle difficili relazioni commerciali con l’Europa.

Fattori concatenanti potrebbero creare una crisi globale

Se solo pochi Paesi producono cibo per quasi tutto il Pianeta, i rischi sono dietro l’angolo. Proviamo ad immaginare uno scenario un po’ estremo: la Russia viene colpita da una siccità più grave del solito che fa calare drasticamente la produzione e aumentare i costi. Contemporaneamente gli Stati Uniti vengono investiti da piogge abbondanti che rendono inutilizzabili le reti fluviali interne per i trasporti. Stessa cosa accade in Brasile dove già ora le arterie stradali sono pesantemente compromesse. In un colpo solo verrebbe meno il 60% del fabbisogno alimentare globale. Uno scenario del genere potrebbe spingere i Paesi a fare scorte di cibo per affrontare i periodi di difficoltà, di fatto isolandosi gli uni dagli altri. Fenomeni atmosferici improvvisi e devastanti stanno capitando con maggiore frequenza ed i cambiamenti climatici ne sono la causa. In più, il legame fra crisi climatica e produzione alimentare si acuisce se tali cataclismi colpiscono le vie di trasporto del cibo.