Microplastiche in Antartide:
Inquinamento

Sono state trovate microplastiche in Artantide

Nel 2020 aveva fatto scalpore un progetto di ricerca organizzato dalla National Geographic Society: tra le indagini condotte ce n’era infatti una che aveva rilevato un’importante presenza di microplastiche nel punto più alto del pianeta, ovvero sull’Everest. Nella neve prelevata a circa 8.200 metri di altitudine erano infatti state individuate minuscole fibre di plastica, riconducibili con tutte le probabilità ai materiali usati per la realizzazione di abbigliamento tecnico indossato dagli alpinisti che si avventurano su questa vetta. E se le microplastiche sono presenti al massimo dell’altitudine, sono in realtà diffuse anche al massimo della profondità, e più precisamente nella fossa delle Marianne, la più profonda tra le depressioni oceaniche. Non a caso un crostaceo scoperto di recente in queste acque oscure è stato battezzato “Eurythenes plasticus”, dopo che i ricercatori hanno trovato delle fibre di plastica all’interno del suo stomaco. E ora, dopo l‘Everest e dopo la fossa delle Marianne, le microplastiche sono state trovate anche in un altro remotissimo e teoricamente incontaminato luogo del mondo. Un gruppo di ricerca composto da scienziati neozelandesi ha infatti trovato delle microplastiche in Antartide, nella neve fresca.

Microplastiche in Antartide: lo studio

I campioni di microplastica sono stati raccolti sull’isola di Ross, un’isola vulcanica che si trova a lato della Terra della Regina Victoria, scoperta nel 1841 da sir James Clark Ross: essendo la più meridionale tra le isole raggiungibili via mare, venne usata per anni come base delle spedizioni in Antartide. Qui si trovano ancora, per dire, le capanne costruite durante le spedizioni di Ross e di Shackleton.

Raccogliendo piccole quantità di neve (un litro) in 19 siti differenti sull’isola, i ricercatori hanno individuato in media 29 particelle di plastica in ogni campione. Di fatto, le microplastiche risultavano presenti nel 79% dei campioni. Nella maggior parte dei casi le microplastiche trovate in Antartide sono riconducibili al materiale usato per realizzare abbigliamento e bottiglie per l’acqua, ovvero al polietilene tereftalato. L’analisi dei campioni raccolti è stata effettuata in laboratori neozelandesi, dove il processo è stato curato attentamente per evitare delle alterazioni della neve raccolta.

Lo studio, pubblicato sulla rivista The Cryosphere, dimostra così che nemmeno l’Antartide è immune alla contaminazione di microplastiche, che a questo punto ha toccato l’intero pianeta.

Come è possibile che le microplastiche raggiungano l’Antartide?

Quali sono i motivi che giustificano la presenza diffusa di microplastiche nella neve fresca dell’Antartide? I fattori da tenere in considerazione sono tanti e diversi. I ricercatori hanno spiegato che le fonti più probabili sono le vicine stazioni di ricerca scientifica, con le microplastiche trasportate dal vento. Ma non è affatto da escludere un’origine più remota. La modellazione usata dagli scienziati mostra infatti che queste microplastiche potrebbero arrivare anche da 6.000 chilometri di distanza, viaggiando forse dalla Nuova Zelanda o dalla Patagonia, sia come polvere trasportata dall’aria che come particelle depositate nel mare.

L’onnipresenza della microplastica nel mondo

Con l’individuazione di microplastiche in Antartide è ormai possibile affermare che la microplastica è ubiqua a livello mondiale: è praticamente impossibile trovare un luogo che sia del tutto incontaminato. Questo perché i movimenti dell’uomo portano con sé delle tracce di plastica; dove non arriva l’uomo, arriva il vento, che trasporta le microplastiche depositate altrove. Come sappiamo queste particelle non sono biodegradabili, e sono quindi destinate ad accumularsi e ad aumentare nel tempo, con conseguenze gravi per l’ambiente come del resto per la salute dell’umanità. A essere colpiti maggiormente sono pesci e uccelli, che scambiano non di rado le microplastiche presenti sulla superficie del mare per del cibo: questo può portare dapprima all’affaticamento, poi a disturbi neurologici e a problemi all’apparato riproduttore.