Protezione e ricerca per gli oceani
Inquinamento

Protezione e ricerca per gli oceani: conosciamo meglio la Luna delle acque terrestri

Perché oggi ci mettiamo a parlare di protezione e ricerca per gli oceani? I motivi sono tantissimi, e alcuni li nomineremo tra poco. Per ora basti anticipare che sì, effettivamente sappiamo molto di più della superficie lunare di quanto sappiamo dei nostri stessi oceani che ci circondano. Parliamo del 70% della superficie della Terra, del 97% della massa di acqua presente sul nostro pianeta, del 50% dell’ossigeno. E sì, parlando di protezione e ricerca per gli oceani non si può che partire ammettendo che negli ultimi due anni abbiamo raccolto più dati su queste distese d’acqua di quanto sia mai stato fatto nella storia del pianeta. Sensori, satelliti, micro-satelliti, droni, sono questi i dispositivi sempre più precisi e sempre meno costosi che abbiamo a disposizione per la protezione e ricerca per gli oceani. Si sono dunque fatti dei passi avanti, ma non è abbastanza.

Protezione e ricerca per gli oceaniUna nuova partnership per gli oceani

Ma perché dobbiamo spingerci molto di più quando si parla di protezione e ricerca per gli oceani? Semplicemente perché per poter sbloccare davvero lo sviluppo sostenibile a partire da queste acque e per proteggere al meglio i loro ecosistemi ci servono più informazioni. A oggi, va precisato, meno del 5% degli oceani è effettivamente monitorato costantemente. Più dati dai satelliti e dai sensori potrebbero aiutare a diminuire le attività di pesca illegale, l’inquinamento di plastica e gli incidenti navali, e inoltre sarebbe possibile localizzare e proteggere più facilmente le balene. Ma più informazioni aiuterebbero anche ad installare più efficacemente impianti eolici offshore e impianti energetici a partire dal movimento delle onde, per non parlare dell’acquacoltura e di tanti altri progetti. Il problema, però, è che se la tecnologia è già pronta per mettere in campo tutto questo, non lo siamo noi. Alla protezione e ricerca per gli oceani servono infatti più fondi, servono nuovi meccanismi finanziari, serve una nuova alleanza tra privato e pubblico. Nishan Degnarain, che al World Economic Forum si occupa proprio della Special Initiative on Oceans, si è per esempio domandato se sia possibile un ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) per gli oceani. Cosa significa? Così come l’ICANN è un tipo di governance che bilancia pubblico e privato per garantire la rete come bene pubblico, Degnarain insieme al World Economic Forum sta lavorando ad alcune partnership pionieristiche per creare un sistema stabile, coordinato e diffuso di protezione e ricerca per gli oceani.

Protezione e ricerca per gli oceani, una nuova visione

Sempre con la coordinazione di Nishan Degnarain, a giugno il World Economic Forum ha pubblicato un nuovo report intitolato ‘A new vision for the Ocean‘ il quale, dopo aver elencato una serie di dati molto interessanti relativi alle attuali condizioni dei nostri oceani, propone per l’appunto una nuova visione per gli oceani, costituita da alleanze innovative, nuovi modelli finanziari e nuove partnership tra pubblico e privato in vista della quarta rivoluzione industriale, nella quale l’oceano riveste ancora di più il ruolo di protagonista. D’altronde già oggi il 90% del commercio, dal punto di vista del volume, passa attraverso il trasporto navale; tre quarti delle più grandi città a livello mondiale si trovano sulle coste, e 3 miliardi e mezzo di persone dipendono direttamente dall’oceano come fonte primaria di cibo.

Inquinamento, pesca eccessiva e pesca illegale

Protezione e ricerca per gli oceaniLa chimica degli oceani non è mai cambiata velocemente quanto oggi nei 300 milioni di anni precedenti. La causa è ovviamente l’inquinamento: l’80% di esso arriva direttamente dalle coste, quindi dalle industrie e dall’agricoltura. L’acidificazione continua a crescere, e alcune specie marine stanno già manifestando i primi drammatici sintomi di questo cambiamento: gli pteropodi dell’ecosistema planctonico antartico, per esempio, stanno già accusando dei problemi di erosione dei loro gusci. Ma non è tutto qui: il 10% degli estuari a livello mondiale è ormai classificato come ‘zona morta’, dove nulla ormai può più vivere. A quantificare nelle menti di tutti quanti l’inquinamento di plastica è poi la tragica stima del World Economic Forum, la quale vede più plastica negli oceani che pesci (in termini di peso!) entro il 2050. Cresce la plastica e, allo stesso tempo, diminuisce quindi la fauna marina: secondo la FAO, nel 2016 quasi un terzo del pescato a livello globale è da ricondurre alla pesca eccessiva. Insomma, un pesce su tre sarebbe dovuto rimanere in acqua. E c’è di più: stando ad un’analisi di Pew Charitable Trust, quando si comprano degli alimenti provenienti dal mare c’è una probabilità su 5 di acquistare qualcosa che è stato pescato illegalmente. Come ha voluto sottolineare Degnarain, «i nostri oceani sono posti sotto una fortissime pressione, e richiedono urgentemente la nostra attenzione, prima di oltrepassare di limiti che potrebbero rivelarsi del tutto irreversibili. Se vogliamo riuscire a fermare in tempo questo cambiamento catastrofici, abbiamo bisogno di un’alleanza audace e davvero innovativa di attori pubblici e privati».