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Energie

Terre rare: e se fosse possibile sostituirle?

La transizione energetica, come è noto, presenta tanti ostacoli, dai più diversi punti di vista. È certo che sia necessario sostituire del tutto i combustibili fossili con le rinnovabili, non ci sono dubbi. Ma restano il fatto che in pochi vogliono vedere enormi turbine eoliche fuori dalla finestra di casa, il fatto che non tutti sono disposti a spendere di più per un’auto elettrica, il fatto che in molti temono che il cambiamento tecnologico si possa trasformare in perdite di posti di lavoro, e via dicendo. In molti, poi, puntano il dito sulla questione delle terre rare: per costruire batterie, sistemi di accumulo, pannelli fotovoltaici e via dicendo è necessario utilizzare parecchi metalli tutt’altro che comuni e facili da individuare, a partire per l’appunto da quelle che vengono definite terre rare. Si pensi per esempio a quanto deciso in Norvegia, che è diventato il primo Paese a dare il via libera all’estrazione mineraria in fondo al mare, per mettere le mani su scandio, cobalto e litio. Di sicuro non si può fingere che il problema non esista: le terre rare sono indispensabili per la transizione energetica come per i nuovi device digitali, ma sono difficili da individuare, e la loro estrazione è tutt’altro che sostenibile. A questo va aggiunto poi il fatto che attualmente quasi il 50% del fabbisogno mondiale di terre rare viene soddisfatto dalla Cina. Il che, in uno scenario geopolitico come quello odierno, è un fattore che spaventa molti. Ma se le terre rare, anziché essere cercate ed estratte, potessero essere più semplicemente sostituite?

La necessità delle terre rare

Il reperimento delle terre rare è un grosso problema per l’Europa, e anche per l’Italia. Basti pensare al fatto che la scorsa estate il governo ha annunciato la volontà di riaprire delle miniere nazionali chiuse da decenni proprio per dare il via all’estrazione di materiali rari come litio, tungsteno, cobalto, titanio, grafite, uranio e via dicendo, tutti i materiali per i quali il Paese attualmente dipende dall’estero. Il Ministero delle Imprese nel dettaglio ha definito 34 materie prime “critiche”, delle quali 16 “strategiche”: queste ultime potrebbero per l’appunto essere trovate in miniere italiane attive in passato. Ma forse non sarà necessario riaprire queste attività. Due fisici dell’Università Ca’ Foscari di Venezia hanno infatti dato il via a una complessa sperimentazione per sostituire le terre rare e gli altri elementi scarsi necessari. Ecco che allora le terre rare, ma anche cobalto, manganese, litio e qualsiasi altro materiale potrebbero trovare un sostituito in materiale composito, per rendere più facile la transizione ecologica. Ma come potrà essere possibile?

La sostituzione con materiali compositi

Di certo quello proposto dai due fisici Stefano Bonetti e Guido Caldarelli è un progetto audace: se i risultati dovessero arrivare, l’Italia potrebbe importi come essenziale punto di riferimento per la transizione ecologica, sapendo che queste “nuove” terre rare potrebbero essere preziose per i più importanti gruppi industriali del mondo. Il team di ricerca capitanato da due fisici, che hanno a questo proposito fondato la no profit Fondazione Rara Ets, sta lavorando per brevettare un metodo basato su un software e un approccio sperimentale. Le competenze in gioco sono le più disparate: si parte dalla fisica della materia per arrivare alla fisica teorica, ma anche all’informatica e persino al marketing: al centro dell’impegno degli studiosi c’è lo sviluppo di un algoritmo in grado di ottimizzare la ricerca di questi materiali del futuro, partendo da materiali “comuni” come silicio, ferro, alluminio e potassio.