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Inquinamento

Utilizzo del carbone: chi spinge e chi frena

Mentre pian piano a livello internazionale si cerca di rinunciare – seppur faticosamente – all‘utilizzo del carbone, c’è chi si muove al contrario, persino all’interno dell’Unione Europea. Parliamo ovviamente della Polonia, che proprio per il suo sfrenato utilizzo del carbone si sta distaccando da tutti i Paesi firmatari degli Accordi di Parigi, e che pochi giorni fa ha ribadito il suo pieno appoggio a questo combustibile fossile, inaugurando quella che è a tutti gli effetti la più grande unità a carbone del nostro continente.

L’orgoglio della controllata polacca Enea Wytwarzanie

L’impianto in questione è stato realizzato dalla giapponese Mitsubishi Hitachi Power Systems e sarà gestito dalla controllata polacca Enea Wytwarzanie. Nello specifico, la nuova unità per l’utilizzo del carbone è l’undicesima costruita nel medesimo sito, e porterà la capacità complessiva dell’impianto di Kozience a sfiorare i 4.000 megawatt. Questo ultimo passaggio non ha solamente un alto prezzo per l’ambiente: per la realizzazione dell’unità sono infatti stati investiti 1,5 miliardi di euro. E mentre l’intera Europa guarda all’impianto con una certa ritrosia, il presidente di Enea Wytwarzanie Krzysztof Figat si dice orgoglioso di quella che è senza ombra di dubbio l’unità « più potente e moderna in Europa».

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La Polonia e utilizzo massiccio di carbone

La Polonia non è certo nuova a questi record per l’utilizzo di carbone: il Paese accoglie infatti anche la più grande centrale a carbone d’Europa, non molto lontano dalla città di Lodz. Con circa 100.000 persone impiegate, il settore del carbone rimane fortissimo in Polonia, tanto che il 90% della produzione energetica di questo Paese viene soddisfatto proprio con questo combustibile. Come ha spiegato il Primo Ministro polacco Mateusz Morawiecki, «questa unità aumenterà la sicurezza energetica della Polonia e della popolazione polacca, il che è una priorità economica e politica per il nostro Paese». Dapprima sulla buona strada per lo sviluppo di una rete di impianti eolici nazionali, ora la Polonia sembra essersi affidata quasi del tutto all’utilizzo del carbone, ipotizzando tra l’altro la costruzione del primo impianto nucleare del Paese. Tutto questo in un territorio che vanta tra i più alti livelli di inquinamento atmosferico del nostro Continente.

La svolta del porto australiano di Newcastle

E se c’è chi continua a spingere verso lo scriteriato utilizzo del carbone, c’è invece chi fortunatamente inizia a muoversi dall’altra parte. In certi casi, va sottolineato, questa scelta proviene da soggetti che mai e poi mai avrebbero dato speranze in questo senso. Parliamo infatti di quello che ad oggi è – ma sarà ancora per poco – il più grande porto per l’esportazione del carbone a livello mondiale, ovvero il porto di Newcastle, nel Nuovo Galles del Sud, in Australia. Sono queste le decisioni a livello internazionale che possono far ben sperare per la lotta contro il cambiamento climatico: in questo porto si movimentano infatti circa 160 milioni di tonnellate di carbone all’anno, con navi in continuo arrivo per caricare enormi moli di carbone, il quale occupa quasi totalmente le banchine in riva al mare.

Una minaccia per l’economia del porto

Proprio l’enorme fetta rappresentata dal carbone nel lavoro del porto di Newcastle rende questa decisione estremamente coraggiosa: il combustibile fossile rappresenta infatti il 96% della merce che transita nell’intera area portuale, e si stratta persino di un carbone di alta qualità, utilizzato a livello internazionale sia per la produzione di acciaio che per la produzione di energia. Una scelta coraggiosa, si diceva, ma oculata. Come ha spiegato il neo presidente del porto Roy Green, infatti, «le prospettive future per l’utilizzo del carbone costituiscono una minaccia per l’attività del porto». Nello specifico, infatti, Green ha spiegato che «c’è una urgente necessità di diversificare l’economia di questa zona e le attività del porto. Questo perché non possiamo certo controllare l’andamento della domanda di carbone a livello globale, ma possiamo invece scegliere di investire su nuove fonti e sull’innovazione». La decisione di Green arriva del resto in un momento particolarmente critico per la lobby del carbone australiana, dopo che persino la National Australian Bank, tra le più grandi banche del continente, ha annunciato di non essere più disposta a concedere prestiti per iniziative legate all’utilizzo di carbone a fini termici.

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La popolazione australiana si leva contro l’utilizzo del carbone.

Tutto questo accade mentre un nuovo enorme punto di estrazione del carbone sta per essere costruito nel Queensland dal gruppo indiana Adani, come abbiamo visto non molto tempo fa. Non è infatti passato molto tempo dalle manifestazioni di protesta da parte della popolazione, infuriata contro il governo australiano per la sua volontà di finanziare la costruzione dell’ennesima miniera di carbone, pensata tra l’altro quasi esclusivamente per l’esportazione. In quel caso non sarebbe stato in ogni caso Newcastle il porto per la movimentazione del carbone, che anzi dovrebbe partire direttamente da Abbot Point, con una rotta terribilmente vicina alla Grande barriera corallina.