accordi finali della Cop28 di Dubai
Cambiamento climatico

Gli accordi finali della Cop28 di Dubai

Una Cop strana, quella che è andata di scena a Dubai negli ultimi giorni. Perché è stata ospitata da un Paese conosciuto a livello internazionale innanzitutto proprio per essere un produttore di petrolio. Perché il suo presidente, Sultan al-Jaber, è il direttore di Adnoc, l’ente petrolifero nazionale degli Emirati Arabi Uniti. Perché nonostante le critiche e le preoccupazioni iniziali è partita con il botto, rendendo subito operativo il fondo per le perdite e i danni climatici, ovvero il famoso Loss and Damage. E perché, infine, la 28ª conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici era chiamata a fare un passo decisivo dopo le conferenze “preparatorie” che si erano di fatto tenute a partire dalla Cop21 di Parigi. Ebbene, ieri, mercoledì 13 dicembre, si è arrivati agli accordi finali della Cop28 di Dubai, i quali – non poteva essere diversamente – soddisfano da una parte e deludono dall’altra, essendo frutto di tanti compromessi. Ma vediamo nel concreto cosa dicono gli accordi finali della Cop28 di Dubai, come si pongono rispetto agli Accordi di Parigi e di cosa si stanno lamentando gli ambientalisti (e non solo loro).

Gli accordi finali della Cop28 di Dubai, in sintesi

Va detto che gli accordi finali della Cop28 dovevano arrivare già il 12 dicembre; in mancanza di un accordo si è però passati al giorno successivo, con la risoluzione della questione che si è risolta in pochi minuti, non dando peraltro spazio alle opposizioni dei Paesi contrari (tanto da spingere il rappresentante di Samoa ha dichiarare che il presidente al-Jaber avrebbe agito come se “noi non fossimo presenti”). Ma cosa dicono in sintesi gli accordi finali della Cop28 di Dubai? Di fatto siglano l’intesa per avviare una transizione dai combustibili fossili, puntando all’obiettivo di emissioni zero entro il 2050. Niente di nuovo? Vero, ma a livello formale questa è la prima volta che si arriva a un’intesa sul necessario superamento dei combustibili fossili. Non è poco. In definitiva, è possibile guardare agli accordi finali della Cop28 di Dubai come alla messa a sistema degli Accordi di Parigi, e di una conferma del conseguente limite da non superare di 1,5 gradi. Ma non sono certo mancate le critiche, anche perché, oggettivamente, le lacune e i passi di lato non mancano affatto.

I punti critici della Conferenza di Dubai

Da dove partire ad elencare i “nei” degli accordi finali della Cop28? Non sono pochi. Non si parla per esempio del tanto desiderato (dai Paesi del Sud del mondo) approccio differenziato alla transizione energetica, con il passo che sarebbe quindi uguale per tutti. La cosa, a tanti Paesi, non è andata per nulla giù. Non si può assolutamente trascurare, inoltre, il fatto che la formula usata per indicare l’abbandono dei combustibili sia “transition away”, la quale purtroppo è un po’ ambigua, e lascia spazio a interpretazione differenti: non è un caso se siano stati proprio i Paesi produttori di petrolio a spingere per questi esatti termini.
Difficile inoltre far finta di non vedere che nel testo finale della Cop sono stati inseriti due elementi divisivi, ovvero energia nucleare e sistemi per la cattura del carbonio. Ai Paesi che hanno votato contro l’uso del nucleare il ricorso e anzi l’indicazione dell’atomo come via per la transizione energetica non piace affatto; allo stesso modo, puntare sui dispositivi per risucchiare l’anidride carbonica rischia di essere un modo per “giustificare” il perpetuarsi delle emissioni. Infine, Legambiente ha sottolineato che negli accordi conclusivi della Cop28 non si trova “un serio impegno per la finanza climatica indispensabile per aiutare i Paesi più poveri e vulnerabili ad accelerare la fuoriuscita dalle fossili”.