Stop carbone in Cina
Inquinamento

Cancellata la costruzione di 103 centrali a carbone in Cina

Buone notizie dal Sol Levante: il governo di Pechino ha annunciato il progetto di cancellare la costruzione di ben 103 centrali a carbone in Cina. Sono numeri enormi, basti pensare che in Italia, al momento, contiamo solamente 12 impianti. Per la Cina, eliminare questo numero di centrali significa tagliare di netto 120 gigawatt di elettricità: questa, infatti, sarebbe stata la produzione complessiva se tutti gli impianti fossero stati ultimati e messi in funzione. Per capire ancora meglio di quali cifre stiamo parlando, basta volgere lo sguardo verso gli Stati Uniti d’America: oltreoceano la produzione di elettricità dal carbone si attesta intorno ai 305 gigawatt.

Quante sono le centrali a carbone in Cina?

No, probabilmente nessun ambientalista andrà di corsa ad abbracciare i ministri di Pechino: la cancellazione delle 103 centrali a carbone in Cina ha infatti ben poco a che vedere con la questione climatica, nonostante gli ormai famigerati problemi di inquinamento che da anni affliggono il Paese. Lo stop alla costruzione degli impianti è invece da ricondurre all’eccesso di elettricità che questi sarebbero andati a produrre. Secondo i propri nuovi piani nazionali energetici, l’obiettivo cinese sarebbe infatti quello di raggiungere una produzione di elettricità da carbone pari a 1.100 gigawatt entro il 2020. Niente di impossibile, tenendo conto della enorme produzione attuale, che si attesta sui 920 GW. Non fosse che, con questi 103 nuovi impianti completati e messi in funzione, le centrali a carbone in Cina raggiungerebbero l’astronomica produzione di 1.250 gigawatt, oltrepassando nettamente il tetto predefinito. Da questo semplice calcolo, dunque, è scaturito il tardivo ma quanto ben accolto stop del governo. La corsa al carbone, dunque, non si fermerà del tutto. Andrà solo più leggermente più piano.

Una manovra tardiva ma indiscutibile

In realtà, la costruzione di 18 centrali a carbone in Cina è già stata fermata l’anno scorso: adesso, però, è arrivato lo stop dal governo centrale per altri 85 impianti in progettazione. Non la prenderanno bene le province cinesi: in tutto infatti sono 13 le diverse giurisdizioni coinvolte, con uno sperpero totale di circa 430 miliardi di yuan, corrispondenti a 58 miliardi di euro. Va infatti sottolineato che, in molti casi, le centrali non erano ferme alla fase del progetto, tutt’altro: la costruzione di ben 47 impianti era già stata avviata. Una bella botta per l’economia cinese, non c’è dubbio, ma creare un tale surplus di energia non avrebbe di certo aiutato il Paese, né sul lato finanziario né tanto meno su quello ambientale. Sarà in ogni caso difficile convincere tutte le province a seguire i dettami che arrivano dal governo centrale: sono infatti in molti a pensare che questo sarà un ordine difficile da portare a termine. Come ha infatti affermato al New York Times Lin Boquiang, ricercatore in politiche energetiche dell’Università di Xiamen, «alcuni di questi progetti sono stati iniziati circa dieci anni fa, e adesso arriva l’ordine di fermare tutto. Sarà difficile convincere i governi locali a rinunciare alle proprie nuove centrali».

Il commento di Greenpeace

A prescindere dalle motivazioni, i maggiori gruppi ambientalisti del mondo hanno ovviamente accolto con favore l’annuncio sullo stop delle centrali a carbone in Cina, Paese che tutt’oggi è in cima alle classifiche degli Stati più inquinanti a livello globale. «Fermare dei progetti in costruzione può sembrare un costosissimo spreco» ha commentato Greenpeace «ma investire soldi e risorse per finire degli impianti totalmente inutili sarebbe stato uno spreco ben peggiore».

Inquinante e rinnovabile: i due volti della Cina

Il mondo energetico cinese, del resto, sembra sempre di più avere due facce incompatibili. La stessa Cina afflitta da enormi problemi di inquinamento, con un larghissimo numero di centrali a carbone e con continue crisi di inquinamento, è anche il maggior investitore nel campo delle energie rinnovabili a livello globale. Di certo la cancellazione di queste 103 centrali a carbone non significa che il governo di Pechino abbia deciso di chiudere questo inquinantissimo periodo della sua storia, ma in ogni caso è un’altra stelletta per un Paese che, a partire dal 2015, ha aumentato del 40% la propria produzione di energia sostenibile e rinnovabile, e che ha messo in opera quasi 20.000 turbine eoliche in un solo anno. Stando a quanto annunciato poco dopo gli Accordi di Parigi, la Cina dovrebbe arrivare ad installare 130 GW di nuova potenza rinnovabile entro il 2020, attraverso un importante investimento di circa 340 miliardi di euro e la creazione di 13 milioni di posti di lavoro. Sempre nel 2020, a conti fatti, il 27% della produzione energetica cinese dovrebbe essere di origine rinnovabile – il 55%, invece, sarà comunque da carbone, in lenta discesa. Per completezza va comunque sottolineato che la caduta del carbone in Cina è iniziata già nel 2013: la produzione è infatti calata a partire da quell’anno , come anche la domanda. Dopo le centrali a carbone bloccate sul nascere, probabilmente verrà anche l’ora delle miniere. Si prevede infatti la chiusura di almeno 1.000 giacimenti.