Great Pacific Garbage Patch
Inquinamento

Great Pacific Garbage Patch, l’immensa isola di plastica

Immaginate di essere nell’Oceano Pacifico, magari su un’isola, seduti su una comoda sdraio con un cocktail in mano. Immaginate che quell’isola sia fatta di plastica e che sia grande quanto la Spagna. Questo vi darà un’idea delle dimensioni del Great Pacific Garbage Patch, la gigantesca superficie creatasi al largo dell’Oceano Pacifico grazie alla convergenza di rifiuti (per lo più plastici), provenienti da tutto il mondo. Un’indagine aerea ha inoltre dimostrato che la situazione è molto più grave del previsto: c’è molto più materiale di quanto sia stato stimato in passato.

A condurre la spedizione esplorativa è stato il team di Ocean Cleanup, la fondazione a partecipazione governativa olandese che ha promesso di pulire gli oceani dalla plastica. La startup creata da Boyan Slat ha riscontrato una densità di rifiuti molto superiore a quella attesa.

“Abbiamo visto detriti ovunque. Ogni mezzo secondo si vedeva qualcosa. Così abbiamo fatto degli scatti: era impossibile registrare tutto. Era bizzarro vedere così tanta immondizia laddove l’oceano dovrebbe essere incontaminato”

, ha spiegato il fondatore di Ocean Cleanup.

Cos’è il Great Pacific Garbage Patch

Il Great Pacific Garbage Patch è noto anche come Pacific Trash Vortex. Si tratta di un enorme accumulo di spazzatura galleggiante, composto per lo più di plastica, e situato nell’Oceano Pacifico. Si stima che si trovi tra il 135° e il 155° meridiano Ovest, e fra il 35° e il 42° parallelo nord. Al momento non si hanno stime precise: la sua estensione oscilla tra i 700.000 km² fino a più di 10 milioni di km², un’isola grande quanto la Penisola Iberica.

Le prime ricerche

L’esistenza della “Grande Chiazza” di immondizia del Pacifico fu preconizzata in un documento pubblicato nel 1988 dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti. La previsione fu formulata dai dati ottenuti da diversi ricercatori in Alaska che, tra il 1985 e il 1988, misurarono le aggregazioni dei materiali plastici nel nord dell’Oceano Pacifico.

Cosa ha causato il Garbage Patch

Tra le cause che hanno generato il Garbage Patch ci sono i container sulle navi cargo, rovesciati dalle correnti oceaniche. Inoltre anche il maremoto che ha colpito la costa orientale giapponese l’11 marzo 2011 ha provocato un enorme afflusso di detriti nell’oceano. I rifiuti spinti dalle correnti, si sono dispersi nel Pacifico, arrivando anche lungo la costa americana. Poi, ovviamente, ci sono i rifiuti dispersi dall’uomo, sottratti al riciclo e affidati alle discariche. Uno studio dell’United Nations Environment Programme ha definito le plastiche biodegradabili una falsa soluzione al problema del marine litter.

“Etichettare un prodotto come biodegradabile può essere visto come una soluzione tecnica che rimuove la responsabilità dell’individuo, con conseguente riluttanza ad agire”.

La consapevolezza del consumatore è forse il primo passo per contrastare la crescita del gigantesco “cerotto” di spazzatura.

Una bomba ad orologeria

Secondo l’UNEP il Great Pacific Garbage Patch sta crescendo così in fretta che, proprio come la Grande Muraglia cinese, sta iniziando a diventare visibile dallo spazio. L’aumento dell’isola di plastica però non è collegato solo alle microplastiche, pericolose per il regno animale ma anche per l’uomo. La presenza dei rifiuti di grande formato è stato da tutti sottostimato.

“La maggior parte dei detriti era di grandi dimensioni. Si tratta di una bomba ad orologeria perché tutti questi grandi oggetti si trasformeranno in microdetriti nelle prossime decadi se non agiamo”,

afferma Slat.

La soluzione di Boyan Slat

Nel 2012 questo studente di ingegneria olandese ha messo a punto un progetto finalizzato alla pulitura degli oceani dalla plastica. La missione di Ocean Cleanup è ripulire l’oceano praticamente a costo zero, grazie a un sistema meccanico alimentato con la luce solare, l’energia delle correnti marine e mediante il riciclo a terra dei materiali raccolti. Secondo Slat spesso dimentichiamo che la plastica è ovunque nella nostra vita:

“Dobbiamo pulire, ma dobbiamo anche prevenire che la plastica entri negli oceani. Meglio riciclare, meglio usare questi materiali in creazioni di design e regolamentare questi rifiuti. Abbiamo bisogno di combinare queste soluzioni”.

Ecco il video che illustra il progetto Ocean Cleanup

I numeri della plastica nell’oceano

Il primo studio a mettere in luce le reali dimensioni dell’inquinamento prodotto dalla plastica fu pubblicato nel 2014. All’epoca si stimò che 5 tonnellate di rifiuti plastici galleggiavano nei nostri mari. Nello stesso anno furono 311 le tonnellate di plastica prodotte in tutto il mondo, una quantità di 20 volte superiore rispetto al 1964, solo un anno dopo l’assegnazione del Nobel a chi la plastica l’ha inventata: Giulio Natta. Lo studio preconizzò che tale quantità si sarebbe quadruplicata ogni 50 anni. Quest’anno un rapporto della Ellen MacArthur Foundation ha alzato il tiro: secondo la ricerca entro il 2050 ci sarà più plastica che pesci in mare, a meno che non si faccia qualcosa.