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Piattaforme petrolifere, Italia accusata per la difesa del proprio litorale

Le recenti normative relative alle piattaforme petrolifere, emanate dal governo italiano per la tutela dei propri mari, potrebbero costare caro agli italiani.

La multinazionale inglese Rockhopper ha avviato infatti un arbitrato internazionale ad Amsterdam per chiedere all’Italia un risarcimento per i danni subiti.

L’accusa è di aver bloccato il lavoro della propria piattaforma petrolifera Ombrina Mare, impegnata in un progetto di ricerca ed estrazione petrolifera al largo delle coste abruzzesi, in seguito ad una modifica della propria legislazione in merito alle estrazioni petrolifere. Il risarcimento, che include costi sostenuti e mancati profitti, ammonterebbe a 160 milioni di euro.

estrazione petrolifera

Compagnia Rockhopper: i termini della questione italiana

Nel 2015 la compagnia petrolifera inglese Rockhopper aveva ottenuto il permesso per l’utilizzo di un giacimento sottomarino, situato circa 10 Km a largo delle coste abruzzesi. Era stato stimato che il giacimento contenesse circa 40 milioni di barili di petrolio e 184 milioni di m3 di gas.

La concessione è stata poi negata nel febbraio 2016 dopo un’interdizione votata dal Parlamento Italiano.

Dopo questo divieto, la Rockhopper ha richiesto l’arbitrato internazionale ad Amsterdam, affermando che tale decisione violerebbe quanto stabilito dalla Carta Europea dell’Energia del 1998, che consentiva invece la possibilità di realizzare piattaforme stabili per investire nel settore dell’energia.

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La legge di Stabilità del 2016 e i divieti introdotti in materia di piattaforme petrolifere

Tutto è cominciato dalle modifiche normative in materia petrolifera introdotte dalla legge di Stabilità del 2016.

La legge di Stabilità, entrata in vigore il 1 gennaio 2016, prevedeva il divieto di trivellazioni in mare per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi entro 12 miglia dalla costa. Appena il giorno prima, il 31 dicembre 2015, era stato pubblicato il “Bollettino Idrocarburi 2015“, in cui si annunciava la sospensione dei permessi di ricerca nell’Adriatico e si specificava che la concessione, di cui è tuttora in possesso la Rockhopper Italia, era prorogata: in sostanza la piattaforma poteva continuare ad esistere, ma senza effettuare ricerche e con la possibilità di riottenere il permesso di coltivazione in futuro.

La situazione è cambiata a febbraio 2016 quando la compagnia ha ricevuto il divieto di concessione all’estrazione.

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Le richieste della Rockhopper all’Italia

L’obiettivo dell’iniziativa giudiziaria avviata dalla compagnia petrolifera inglese è di spingere l’Italia a rivedere il proprio piano normativo. Se si dovesse andare fino in fondo, il conto per l’italia potrebbe essere molto saltato.

Già in passato, questo tipo di meccanismo giudiziario, noto come Investor-state dispute settlement ha prodotto sentenze favorevoli a grosse multinazioniali con conti molto elevati. Si parla infatti non solo delle spese di gestione sostenute fino a questo momento, incluse le spese di smantellamento della piattaforma, ma anche di sostenere i costi del mancato profitto derivato dall’estrazione e dalla vendita del petrolio.

Il totale è di oltre 160 milioni di euro.

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Rockhopper, ultimo di numerosi casi di risarcimento in materia ambientale

Il caso della multinazionale Rockhopper non è isolato. Si tratta infatti dell’ultimo di una serie di richieste di risarcimento avviati dalle multinazionali contro provvedimenti nazionali che in varie parti del mondo stanno provando a tutelare l’ambiente attraverso la legislazione ambientale.

In Germania, la compagnia energetica svedese Vattenfall ha richiesto alla Germania oltre 3,7 miliardi di euro come compensazione per la sua scelta di lasciare l’energia nucleare.

In Canada, la società canadese Lone Pine Resources ha richieso l’indennizzo di 250 milioni di dollari dopo il divieto imposto alle ricerche con il crack – idraulico.

A preoccupare per i prossimi anni è il Ceta, un accordo di libero scambio tra Canada e Unione Europea, relativo all’esportazione di beni e servizi: l’accordo potrebbe comportare nuove citazioni a giudizio in caso di emanazione di nuove norme ambientali da parte degli stati coinvolti.